Il potere di lasciar andare

Questa settimana, parlando del Colon (o intestino crasso), la prima dicotomia da tenere in considerazione è sicuramente quella tra i trattenere e il lasciar andare. Questo ci parla della capacità fisiologica dell’ultimo tratto di intestino di trattenere la materia più vitale (l’acqua) e di eliminare ciò che non serve più.
Vi abbiamo parlato della fisiologia, ma oggi passiamo ai significati psicosomatici ed energetici di questo tratto del sistema digerente, che ci dà appunto la possibilità di vedere chiaramente ciò che ci dà forza e ciò che diventa tossico, e quindi deve essere eliminato.

In Medicina Cinese, ad esempio, il Colon assume la funzione di un netturbino, ovvero di colui che si incarica di ripulire ed eliminare il campo corporeo dalle scorie e dai rifiuti. È anche però l’ultima sentinella che può decidere se tenere qualcosa, e ha il compito di riconoscerlo.
Associato in questo sistema all’elemento del Metallo, è energeticamente “gemello” del Polmone, con cui condivide i processi di discernimento (dei gas nel caso del secondo, dei liquidi nel caso del primo), e il suo ruolo è separare il chiaro dal torbido.
Ritorna qui l’importanza del cervello enterico, che, proprio come quello neurologico, è capace di esercitare discernimento e discriminazione, scelta e direzionalità. Siamo solo meno abituati a concepirlo come un’interfaccia altrettanto importante per conoscere e significare il mondo.

L’addome, per eccellenza, è il luogo dell’inconscio, ovvero l’area del nostro corpo dove la coscienza non vuole o fatica ad arrivare, ed è particolarmente collegato al vissuto emotivo. In ottica psicosomatica, il Colon è infatti il luogo di somatizzazione dell’ansia e del trattenimento, ovvero della capacità/incapacità di lasciar andare e lasciarsi andare.
È attraverso le manifestazioni e il funzionamento di questo viscere che il corpo elabora la libertà psicoemotiva, oppure resta nelle dinamiche di attaccamento che condizionano la nostra esperienza. La reazione può essere al polo dell’esasperazione del controllo stesso, portandosi verso la stipsi e la dolorabilità cronica, oppure verso il rilascio incontrollato, come nel caso della diarrea e di alcune forme di sindrome del colon irritabile: per incapacità di gestire la discriminazione tra ciò che deve rimanere e ciò che deve essere espulso, il corpo reagisce eliminando tutto ciò che sta transitando dal colon. Nonostante possa sembrare molto strano, provate a pensare al classico “mal di pancia” prima di un’occasione importante (un esame, una performance, una riunione, …): possiamo andare incontro a dolori e crampi fino allo “spegnimento” dell’intestino (stipsi) oppure alla sua ipersollecitazione (diarrea).
Le manifestazioni fisiche che possono accompagnarsi alla paura e all’insicurezza in queste situazioni ci parlano della nostra (in)capacità di restare lucidi e fluidi all’interno di una situazione di stress, abbandonando il senso del controllo, per riconoscere le nostre emozioni limitanti (il torbido) e tentare di superarle, o prendercene cura il più serenamente possibile.

Recuperando l’acqua (il chiaro), il Colon ci insegna a riconoscere le qualità vitali che possiamo mantenere anche nelle situazioni di maggiore stress, che ci permettono di superare gli ostacoli in modo creativo e sano, attraverso l’implementazione di strategie fisiche, emotive e mentali non violente verso noi stessi o gli altri, ma comunque volte in modo deciso alla risoluzione e al benessere del nostro sistema e di chi ci sta intorno.
Viviamo in un contesto culturale in cui la capacità di lasciar(si) andare non è vista di buon occhio: sottrarsi alle dinamiche di massima resa a tutti i costi è una vera e propria sfida a cui siamo messi di fronte, per poter riconoscere i nostri bisogni fondamentali ed eliminare ciò che non ci nutre (o ciò che non ci nutre più).

Potremo così avere accesso ad una grande forma di libertà, quella di decidere cosa è meglio per noi, e lasciar scorrere via ciò che non è più necessario.
La lezione del Colon è chiara, resta a noi impararla!

Alla prossima settimana,

Luca e Nicoletta

Il Cervello Enterico

Questa settimana abbiamo parlato delle caratteristiche anatomofisiologiche dell’intestino, e vi abbiamo accennato che la sua relazione con il cervello è particolarmente complessa e stratificata, tanto da essere in molti modi una relazione alla pari. Nel mondo scientifico questo è riconosciuto da alcuni anni, in cui lentamente il concetto si è fatto strada fino a diventare una vera e propria branca delle neuroscienze, ma questa connessione è conosciuta per via intuitiva e simbolica da migliaia di anni in Medicina Tradizionale.
L’intestino digerisce, oltre al cibo, anche le emozioni e i pensieri che si muovono nel nostro corpo, e quando non riesce a digerirli crea tossine, che a loro volta danneggiano, in modo più o meno importante, gli organi e l’intestino stesso.

È intuitivo riconoscere come i pensieri ricorrenti, ma anche l’ansia, la depressione, lo stress, la paura, l’agitazione e il nervosismo possano generare disturbi intestinali di vario genere, come dissenteria, crampi, mal di pancia, stipsi. È vero anche il contrario: disturbi dell’apparato intestinale possono creare tensione, ansia, stress, fino anche ad attacchi di panico.
In questo senso, la fisiologia ormonale ci spiega il perché: la serotonina, che è un neurotrasmettitore, comunemente chiamato “ormone del buonumore”, e i cui precursori sono i triptofani, è prodotta per il 95% di tutta la quantità corporea dalle cellule enterocromaffini dell’intestino (il restante 5% è prodotta nei neuroni serotoninergici cerebrali). Come potete immaginare la serotonina agisce anche, ed intensamente, sulle funzioni intestinali: è implicata infatti nella fitta rete di azioni e reazioni tra sistema nervoso ed intestino. Per fare un esempio, livelli troppo bassi portano stitichezza, livelli troppo alti diarrea.

Se vogliamo semplificare: laddove rinunciamo alla gioia, immergendoci nelle ombre della vita e delle difficoltà, l’intestino inizia a manifestare problemi di diversa natura.
Esso diventa così, secondo una visione psicosomatica, il purgatorio della mente, l’organo in cui si cerca di eliminare in fretta pensieri disturbanti, emozioni troppo intense, rabbia, frustrazioni, fantasie sessuali inaccettabili, violenza, paura, pensieri troppo sporchi, in pratica la nostra Ombra, che non riusciamo ad accettare e tollerare razionalmente, delegandoli al lavoro e alla fatica del corpo.
La nostra mente bassa, l’intestino, si fa carico di esprimere ed allontanare ciò che la nostra mente alta, il cervello, non riesce ad accettare e di cui non può farsi carico, un troppo che non riesce a gestire. Cercheremo allora inconsciamente di nascondere questi pensieri e queste emozioni seppellendoli nell’intestino. Quando il non digerito diventa troppo ingombrante, il nostro secondo cervello inizia a manifestare spasmi, dolori e disagio, che ci parlano della dolorosa lotta intestina, per l’appunto, tra il procedere in avanti ed il tornare indietro, tra lasciare andare e trattenere, tra dentro e fuori.
Queste coppie di forze contrapposte ci raccontano di persone in cui l’espresso e l’inespresso si fronteggiano, e l’aggressività viene rivolta a sé, attraverso il forte dolore provocato dai crampi intestinali.

Attraverso l’esperienza corporea arriviamo a comprendere ed accettare che in noi vivono sentimenti opposti. Diventare consapevoli che esiste un nostro lato ombra, senza necessità di colpevolizzarsi e punirsi, diventa allora un percorso di liberazione e di agevolezza.
Attraverso l’intestino, grazie ai suoi sette metri di implacabile discriminazione, abbiamo la possibilità di riconoscere minuziosamente tutto ciò con cui siamo venuti a contatto, e di separare il nutrimento da ciò che non lo è. Se riflettiamo bene, questa è la stessa attività svolta dal cervello, ad un altro livello: attraverso di esso discriminiamo cosa ci è stato utile e cosa no.

L’intestino, secondo questa chiave di lettura, diventa allora il luogo in cui più di ogni altro elaboriamo i nostri vissuti in termini fisici, con un linguaggio che parla attraverso tensione ed elasticità, dolore e agio, stasi e movimento, e che possiamo imparare a riconoscere e a leggere per conoscerci ogni volta un po’ di più.

Come sta il nostro intestino, se accettiamo di vivere diversamente le nostre emozioni?
Come si comporta se iniziamo a riconoscere i nostri sentimenti negativi?
Abbiamo ancora quei fastidiosi crampi alla pancia, se ammettiamo a noi stessi di essere costantemente a disagio, arrabbiati o confusi?
E, ancora, siamo poi così confusi, se iniziamo ad ascoltare i segnali che ci dà, e a vivere un po’ più “di pancia”?

Siamo sicuri che, dopo aver letto queste poche righe, avrete molto su cui riflettere, o ancora meglio, da digerire: leggere se stessi attraverso il linguaggio degli organi e dei loro significati può sembrare piuttosto difficile, ma in realtà è molto più semplice di quello che appare. Basta ricominciare a sintonizzarsi con le parole della Natura, come fanno i bambini e gli animali, e improvvisamente la nostra mente potrà accedere a una visione più chiara.

Vi invitiamo a provare, e vi aspettiamo lunedì sui social per il prossimo organo!

Luca e Nicoletta

Stomaco e digestione

Quando parliamo dello stomaco, dobbiamo necessariamente considerare la sua funzione principale, quella di trasformare i cibi da sostanze complesse a semplici, per renderle disponibili all’assorbimento e all’utilizzo nei processi metabolici.
Abbiamo parlato delle caratteristiche anatomiche e fisiologiche dello stomaco e del sistema digerente nei post sui social (facebook e instagram) di questa settimana, ma vorremmo oggi concentrarci su una sfumatura differente.

La più interessante caratteristica della prima parte del sistema digerente (bocca, esofago, stomaco), come già accennavamo, è quella di poter utilizzare in modo controllato un grande potere distruttivo, quello degli acidi, per garantire la vita al sistema organico a cui appartiene. Lo squilibrio di questa capacità di controllo può derivare in un danno anche molto grande (si pensi alle patologie degenerative del tratto digerente come l’ulcera, data dagli acidi gastrici che erodono le pareti mucose dello stomaco), e lo stomaco è a tutti gli effetti un grande calderone in continuo bollore, immagine molto efficace ed evocativa che deriva dalla Medicina Tradizionale Cinese: l’acqua che bolle (metafora degli acidi gastrici) può essere di grande aiuto nel rendere disponibili e maggiormente edibili molti cibi, ma se usata male o addirittura fatta fuoriuscire scorrettamente dal suo contenitore può essere estremamente pericolosa, persino letale.

Lo stomaco è anche la sede, in termini simbolici e metaforici, della nostra facoltà di elaborare i nostri vissuti, fisici, emotivi e mentali. A livello esofageo e gastrico il corpo energetico veicola e trasforma le informazioni che provengono dall’esterno o dal nostro vissuto, e le rende disponibili (quando possibile) per il resto del corpo.
Avete mai notato quanti sintomi a livello dello stomaco sono correlati a ciò che proviamo, o alle nostre reazioni agli eventi? Dalla proverbiale gastrite da stress alle sensazioni di peso epigastrico, il nostro corpo si serve di una vasta gamma di segnali per farci notare che qualcosa non è stato propriamente trasformato, o è rimasto indigesto a uno dei nostri corpi.

In questo senso, il cibo, e la nostra reazione ad esso, è una grande cartina al tornasole: non è solo cosa mangiamo a determinare lo stato di benessere o malessere che proviamo in risposta ad un cibo, ma spesso è anche il come, e la valenza di quel cibo per il nostro sistema.
La saggezza e la finezza della natura hanno dotato i sistemi biologici (e in una certa misura anche gli essere inorganici) di una grande peculiarità, ovvero quella di potersi sostentare attraverso la nutrizione, il processo di immissione all’interno del proprio corpo di parti di un altro essere vivente, che vengono degradate in modo da ricavarne elementi utili al proprio metabolismo e alla propria vita sistemica e cellulare.
Non ci pensiamo mai molto volentieri, ma a tutti gli effetti, per vivere, ogni essere vivente deve cibarsi di altri esseri viventi, in diversi gradi di complessità e di livello di coscienza. Questo significa che il cibo è informazione, oltre che energia fisica e chimica: tutto ciò di cui ci nutriamo porta con sé la storia e la vita di cui ha fatto parte, che entra a sua volta a far parte della nostra, e anche l’informazione generale della categoria a cui è appartenuto.

Al di là delle scelte alimentari ed etiche di ognuno di noi, così come consideriamo le calorie di un certo cibo, o la sua provenienza, o la modalità con cui è stato prodotto (allevamento/coltivazione, trasformazione, trasporto, eccetera), quando ci apprestiamo a mangiare dovremmo soprattutto porci una domanda: “Quale energia mi porta questo cibo?“.
Ci sono diversi sistemi di corrispondenza tra i cibi e particolari caratteristiche emozionali o simboliche, ma in genere la lettura è piuttosto simile: per fare un esempio molto conosciuto, il latte e i suoi derivati sono di solito associati al sostentamento primario, alla nutrizione del neonato, e quindi al rapporto con la sfera materna (non necessariamente la madre in persona, notate la differenza).
Alcuni cibi sono poi maggiormente collegati a una sollecitazione emozionale: avete mai notato quanto lo zucchero apparentemente sedi il sistema nervoso, ma in realtà lo renda profondamente irritabile? Oppure avete mai notato che gli stessi cibi che appesantiscono il sistema epatico (come la troppa carne) siano anche quelli che ci rendono più aggressivi?

Non è nostra intenzione fare oggi un elenco di queste corrispondenze, perché vogliamo invece sottolineare un concetto fondamentale: per quanto i sistemi di riferimento ci aiutino a orientarci e a dare una direzione alla nostra lettura, è sempre fondamentale riportare tutto al sistema della singola persona. Ad esempio, la lettura qui sopra potrebbe essere valida così com’è per una persona, mentre per un’altra potrebbe servire scoprirne una diversa sfumatura, o ancora per una terza non valere affatto.
Per inciso, è proprio per questo motivo che si dovrebbe includere la considerazione di queste caratteristiche nella pianificazione di una dieta.
Vi invitiamo a scoprire quale energia vi portano i cibi attraverso l’esperienza diretta, poiché ognuno di noi ha un sistema proprio e risponde in modo diverso alle informazioni che il cibo porta con sé, rielaborandole secondo i propri riferimenti e le proprie libertà e difficoltà emotive ed energetiche.

Provateci, e raccontateci la vostra esperienza.

Buon cibo consapevole a tutti!

La Danza del Cuore

Il collegamento tra malattie fisiche e vita emotiva (il “regno” del cuore) è conosciuto da sempre, basti pensare che le prime formulazioni sul rapporto mente-corpo sono state poste in modo sistematico a partire da Platone, ed è proprio questo approfondimento che ogni venerdì cerchiamo di esplorare meglio.
Spesso, quando si tratta della percezione del corpo, il miglior modo per scoprire questo legame è osservare i modi di dire che esistono su un determinato organo.
Ad esempio, in tutte le culture, il cuore rappresenta il centro dell’affettività, e nel linguaggio comune utilizziamo spesso questa metafora. “Grazie di cuore”, “ho il cuore pieno di gioia”, “ti amo con tutto il cuore”, “ho sentito una stretta al cuore”, “mi hai spezzato il cuore”, “ho il cuore in gola”: sono solo alcune delle espressioni che associamo al grande Direttore d’Orchestra del nostro corpo.
Tutte queste espressioni rivelano il simbolismo emotivo racchiuso in quest’organo, e nella motilità cardiaca: ad essi vengono associati sia concetti positivi, legati all’amore, all’amicizia, alla bontà, sia concetti negativi, legati al dolore, alla separazione, alla tristezza.

Il legame tra separazioni e cuore coinvolge strettamente il sistema ormonale e la risposta agli stimoli di stress: abbandoni e separazioni provocano emozioni intense come dolore, preoccupazione, angoscia, tristezza, sensi di colpa, vergogna.
La difesa conseguente che si sviluppa in risposta a tali emozioni, come l’immobilità o la disperazione, nasce dal sistema nervoso autonomo e reinforma tutto l’organismo, e di conseguenza quello ormonale e immunitario.
Ad esempio in diversi studi è stata riscontrata una connessione tra infarto e rottura di relazioni. L’associazione, in alcuni casi, si è evidenziata anche in rapporto all’anniversario della rottura; esiste addirittura la “sindrome dal cuore infranto” (sindrome di Takotsubo) che è una patologia che si manifesta con una disfunzione del ventricolo sinistro come conseguenza a un evento di vita emotivamente stressante e doloroso.
Così, espressioni come “mi hai spezzato il cuore“, non costituiscono solo la metafora di un dolore, ma la reale conseguenza di una forte sofferenza psichica legata alla separazione.
Il dolore vissuto porta a conseguenze fisiche che condizionano negativamente le funzioni vegetative ed endocrine tanto da provocare vere e proprie lesioni organiche.
Inversamente però, anche la guarigione risulta essere collegata a una dimensione relazionale: alcuni casi di regressione spontanea da malattie sono apparsi associati a miglioramenti nelle relazioni interpersonali.

Ma, in definitiva, in che modo si possono ottenere queste condizioni apparentemente miracolose (e che a volte non sono propriamente spiegabili)?
Vi sarete sicuramente imbattuti nell’etimologia della parola “coraggio”, che si parafrasa normalmente in “agire con il cuore”, o “azione del cuore”, e per quanto sia molto affascinante immaginiamo che voi abbiate avuto una certa difficoltà e descrivere quale sia quell’azione.
Spesso tentiamo di costruire risposte molto complesse a domande apparentemente difficili, ma in realtà quelle più giuste sono molto semplici.
Ricordate, come abbiamo scritto questa settimana, che il Cuore è considerato, nelle medicine tradizionali di tutto il mondo, l’organo più importante, governatore di tutto il corpo?
Ebbene, questa sua funzione non è solo una metafora di sicuro effetto, ma è una profonda verità.

Senza paura di esagerare, possiamo dire che il ritmo cardiaco, proseguito in modo pressoché identico dal passaggio dell’onda pressoria all’interno dei vasi (soprattutto delle arterie) costituisce uno dei ritmi fondamentali dell’esistenza di tutto l’organismo, e che sintonizzarsi e sincronizzarsi su di esso è una potente fonte di benessere e salute, alla portata di ognuno di noi.
Il battito cardiaco è infatti un vero e proprio metronomo per le funzioni di tutto il corpo. È risaputo che una buona vascolarizzazione (in entrata e in uscita) costituisce il presupposto per una buona fisiologia cellulare, tissutale e sistemica, ma è poco considerato che la buona irrorazione dei tessuti è determinata dalla libertà dell’onda pressoria esercitata dal cuore e dai vasi sanguigni di raggiungere anche la cellula più lontana. In altre parole, il cuore deve esercitare costantemente una forza dinamica sufficiente a garantire questo flusso, comportandosi da fonte del movimento intrinseco di tutti gli altri organi e tessuti.
Questo si specchia nel fatto che il cuore è un organo straordinariamente autonomo e versatile, che in linea teorica può continuare a funzionare nelle situazioni più avverse, anche nel limite della mancanza di controllo da parte del sistema nervoso, che genera anche campi di risonanza elettromagnetica per tutto il resto del corpo, armonizzando il sistema al maggiore stato di equilibrio possibile momento dopo momento.
L’ascolto del proprio battito cardiaco, proposto nel video di questa settimana, come atto di biofeedback molto immediato e di semplice esecuzione, è carico di grandi benefici, primo fra tutti il garantire spazio e tempo per questa possibilità “bilanciatrice” dell’attività cardiaca.
Mettendosi in connessione con il battito del cuore, ognuno di noi ritorna alla fonte stessa della vita, e riscopre le abilità di regolazione e di modulazione che gli corrispondono.

Vi invitiamo a praticare questo semplice esercizio per un certo periodo: potreste notare benefici inaspettati sulla salute psicofisica e sul vostro modo di percepire e vivere il mondo.
Raccontateci la vostra esperienza nei commenti.

Buon weekend

Luca e Nicoletta

La Forza dei Reni

Questa settimana abbiamo parlato del sistema renale in campo anatomofisiologico, proponendo esercizi di dinamizzazione e elasticizzazione corporea volti alla liberazione del contenitore fasciale e muscolare dei due organi.
Oggi vogliamo proseguire la trattazione con una lettura più profonda, quella integrata con il sistema energetico, che parte sempre, nella nostra ottica dalle corrispondenze con la fisiologia.

Come abbiamo anticipato, i reni sono forse gli organi più importanti per quanto riguarda la purificazione della componente liquida del corpo, anche se non sono gli unici: gli altri, già trattati nel corso di queste settimane, sono il fegato – che si occupa della componente chimico-energetica – e i polmoni – che si occupa della componente aerea. Insieme ad altri due organi, intestino e pelle (ebbene sì, la pelle è un organo!), formano il sistema degli emuntori, ovvero quel gruppo di organi che si occupa dell’eliminazione delle sostanze di rifiuto prodotte dal metabolismo.

Cosa ci dice questa funzione dei reni, rispetto alla loro valenza energetica?
Provate a rifletterci: al contrario dell’intestino, che elimina sostanze più solide, o del fegato, che purifica sostanze più grezze, i reni sono in altri termini implicati nel mantenimento della buona fluidità dei liquidi corporei, comprendendo anche il loro stato di tossicità. Essi sono a tutti gli effetti il filtro del corpo energetico, oltre che di quello fisico. Una cosa che succede spesso alla fine di un trattamento o di una consulenza, specialmente se molto profondi, è che alle persone venga il bisogno di fare pipì (vi è mai capitato?): se da una parte questa necessità è fisiologica – data dalla movimentazione dei liquidi di un buon massaggio, ad esempio – dall’altra parte è anche dovuta a una reazione del corpo eterico, la controparte energetica del corpo fisico, che “scarica” le sue tensioni soprattutto a livello del sistema urinario.
Ormai chi ci segue da tempo lo sa: la nostra visione tende a coprire più livelli dello stesso fenomeno, e vi invitiamo a osservare la stessa cosa. Scoprirete che il dialogo interno del vostro corpo è molto fervido, e ricco di protagonisti che si interfacciano tra loro.

La seconda e fondamentale funzione dei reni che vogliamo analizzare è quella che riguarda il sistema nervoso autonomo, specialmente per quanto riguarda le ghiandole surrenali. Esse sono lo stadio finale di una complessa catena di strutture anatomiche e di processi ormonali chiamati asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che si occupa della gestione delle risposte emozionali e fisiche agli stimoli stressogeni, modulando la produzione e la circolazione degli ormoni adrenalina e noradrenalina, responsabili di tutta quella serie di processi che vanno sotto il nome di “lotta o fuga”, ovvero l’attivazione generale del sistema che si prepara a reagire in modo dinamico.
I reni quindi, sono i custodi della nostra capacità di (re)agire all’interno dei fenomeni in cui viviamo, o in altre parole della nostra energia vitale. Nella Medicina Tradizionale Cinese, ad esempio, vengono chiamati “la radice della vita”, ad intendere proprio questa loro funzione arcaica e primordiale.
Se è vero che tutti e tre gli organi citati prima (intestino, fegato e polmone) sono implicati nella gestione emozionale (come d’altronde lo è tutto l’organismo), possiamo notare che l’intestino processa maggiormente le emozioni più “pesanti” (come l’ansia), il fegato quelle più “turbolente” (come la rabbia) e il polmone quelle più “inibenti” (come la tristezza): e i reni?
Come potete già immaginare, l’emozione negativa che maggiormente disturba questo sistema è la paura, ovvero quello stato di paralisi (o più propriamente di congelamento), che in natura serve agli animali a valutare la situazione e l’entità del pericolo a cui percepiscono di essere esposti. Se questa reazione viene rimodulata, infatti, può essere molto utile, ma se perdura nel tempo porta ad una sorta di paralisi totale del sistema nervoso, che impedisce l’azione ed espone a grossi rischi.

In effetti, cosa più della paura ci blocca nell’aprirci alla vita, alle possibilità che ci offre e alle occasioni che ci fa sperimentare?
Lo stato dei nostri reni ci dà modo di osservare e di valutare quale sia il nostro grado di irretimento nei confronti del mondo e della vita: più ci apriamo, più siamo in salute, più siamo anche in grado di filtrare (fisiologicamente ed energeticamente) ciò che passa nel nostro campo. Più ci lasciamo catturare e congelare dalla paura, meno siamo disponibili all’immensa quantità di energia che la vita ci mette a disposizione, a patto che cogliamo l’occasione e ci impegniamo nel lavoro che ci viene richiesto, a volte con il famoso “colpo di reni” (non è un caso che si dica così, avete notato?).
I reni, collegati al flusso dell’elemento acqua, sono a tutti gli effetti le porte d’accesso alla salute del nostro sistema eterico-energetico, e ci è possibile prendercene cura con gesti molto semplici: bere la giusta quantità d’acqua, ad esempio, è il più semplice, e se ci conoscete, sapete bene quanto insistiamo su questo punto.
Sapete che la quota minima giornaliera di acqua per una buona idratazione equivale – in centilitri – al peso corporeo moltiplicato per tre? Una persona di 70kg, ad esempio, dovrebbe assumere almeno 2,1 l d’acqua al giorno (210 cl). E questo dovrebbe essere il minimo!
Qualcuno sorriderà pensando a quante volte lo diciamo, ma ora può anche considerare quanto una buona idratazione sia fondamentale per la salute dei reni, e della loro buona fisiologia, che fa da base alla buona salute di tutto il sistema organico, sia in senso fisico che energetico.
A tutti gli effetti, una buona idratazione è il primo antidoto alle paure congelate nel corpo, e al dolore come loro manifestazione.

Vi lasciamo qui sotto gli esercizi della settimana, se qualcuno li avesse persi!

Alla prossima settimana,

Luca e Nicoletta

Il potere del fegato

Eccoci giunti alla fine della settimana, con una considerazione: avrete certamente notato che, praticando costantemente gli esercizi che vi proponiamo, viene stimolata anche la vostra consapevolezza, sia durante la pratica che durante la giornata. Con il tempo, diventate sempre più coscienti del fatto che mentre vivete e fate “le vostre cose”, al vostro interno accadono (e sono osservabili) tutte quelle funzioni che stanno alla base della vita stessa.
Diventare consapevoli di questo è come diventare coscienti di essere i capi di un’azienda che grazie ai suoi meccanismi procede in autonomia, ma il presenziare ad alcuni processi vi rende consapevoli della situazione generale, di cosa veramente accade e di ciò che si può migliorare, invece di non fare nulla e usufruire soltanto del guadagno finale.
Vi auguriamo di fare sempre più spesso questa esperienza, per prendervi cura di voi stessi in modo sempre più efficace.

Andiamo ora ad analizzare meglio l’argomento della settimana, ovvero il sistema epatico.
Dal punto di vista anatomico, il fegato è un organo veramente vasto, con una forma che ricorda vagamente un triangolo/piramide allungato verso sinistra con la base più voluminosa a destra. È situato in gran parte nella parte alta a destra dell’addome, con una parte meno voluminosa che si sposta verso la porzione superiore sinistra, e si posiziona subito al di sotto del diaframma. Il suo alloggiamento è localizzato appunto tra il diaframma, il colon trasverso e lo stomaco.
Rispetto al resto del corpo, il fegato ha una quantità significativa di sangue che scorre al suo interno: si stima che il 13% del sangue del corpo sia, in ogni istante, transiti all’interno del suo sistema vascolare di depurazione (pensateci…è veramente tanto!).

Come vi abbiamo già accennato, quest’organo riveste un ruolo fondamentale sia sul piano funzionale che energetico.

Sul piano fisiologico, il suo ruolo è quello di depurazione del sangue, di produzione e immagazzinamento di glicogeno (la forma di immagazzinamento del glucosio), trigliceridi e colesterolo, di produzione della bile (l’emulsionante dei grassi a livello intestinale), di immagazzinamento di ferro, rame e vitamina B12 – necessari al metabolismo cellulare – e di filtrazione ed eliminazione delle tossine derivanti da agenti chimici provenienti dall’esterno (come i farmaci).

Sul piano psicosomatico, il fegato è l’organo preposto, nella sua funzione purificata e sana, al discernimento, inteso come capacità di valutare tutto quello che ci accade per separare e dividere ciò che ci è tossico da ciò che invece ci fa bene: in sostanza pianifica, progetta, decide, sceglie e agisce.
Nella lettura psicosomatica il fegato inizia ad essere in sovraccarico, quindi a dare segni disfunzionali, quando perdiamo la capacità di discernere e arriviamo ad una intossicazione. Ad esempio un eccesso, non soltanto di cibo ma anche (e soprattutto) emotivo, può sovraccaricarlo, ed è per questo che spesso necessita di disintossicazioni effettuate periodicamente, soprattutto nei cambi di stagione.
Invece, quando siamo nel flusso, ci adattiamo facilmente ai cambiamenti e siamo in grado naturalmente di lasciar andare tutto ciò che “ci appesantisce”. In questo modo il fegato è in equilibrio.

Nel sistema energetico dei 7 Chakra (argomento che tratteremo in dettaglio più avanti), o centri energetici principali, i disturbi del fegato, in base alla localizzazione, sono connessi ad un disequilibrio del terzo Chakra (Manipura), che è, a sua volta correlato, a:

– autostima
– attività mentale
– potere personale
– controllo sulla propria vita e su quella degli altri
– capacità di realizzarsi ed essere pienamente se stessi.

L’emozione fondamentale correlata al terzo Chakra è la rabbia. I disturbi del fegato, infatti, in linea generale, sono correlati ad una difficoltà nel metabolizzare la rabbia, intesa sia come scoppio d’ira, sia come emozione trattenuta e inespressa, che può nascere, ad esempio, dal fatto di non essere in sintonia con la propria natura, dalla difficoltà nel manifestare il proprio potenziale, o anche da un rifiuto rabbioso ad adattarsi al flusso della vita. In questo caso, l’intervento della cistifellea è fondamentale: sul piano energetico, infatti, essa è la custode delle emozioni rimaste inespresse per molto tempo, e il suo veleno più grande è il rancore.

Mano a mano mano che proponiamo diversi esercizi, raccomandiamo di prestare attenzione agli aspetti emotivi ed energetici in generale, non si può lavorare sul corpo senza far arrivare un impulso concorde al corpo emotivo.
Imparare ad osservare questi aspetti porta a comprendere meglio come si manifestano e a cosa sono correlati per giungere ad una migliore conoscenza e cura di noi stessi.
Infine, non dimenticate di osservare i cambiamenti dell’attività onirica, ovvero i vostri sogni. Quando si liberano tensioni nel corpo scendendo in profondità come nel lavoro sugli organi, può accadere che in sogno riceviamo messaggi, relativi sia allo scioglimento della situazione interessata o a una nuova visione o strada da intraprendere.

Come sempre, siamo a disposizione per guidarvi e, dove possibile, farvi luce: voi continuate a praticare!

Un abbraccio

Luca e Nicoletta

I Polmoni e la Vitalità

Come forse avrete notato questa settimana, i polmoni, tra gli organi corporei, così come il respiro tra le funzioni, sono spesso dati per scontati (e la lista, vi assicuriamo, non finisce qui!). 
Gli esercizi vi avranno certamente aiutato a prendervene cura e a percepirli anche quando non ci stavate pensando, e a rendervi conto del fatto che, senza esercitare un’attenzione volontaria, ci immergiamo completamente nelle azioni, dimenticandoci della basilare – ma potente – sensazione di essere vivi.
È proprio il senso della vitalità, da un punto di vista energetico, la qualità a cui sono legati i polmoni. Proviamo a comprendere meglio come.

Partiamo dall’aria che respiriamo: essa è fatta di atomi ed essenze, la parte più impalpabile e rarefatta della materia, che provengono da tutto ciò che abbiamo intorno. Respirare è far entrare letteralmente la sostanza di cui sono fatte le cose e le persone, dal più minuscolo granello di sabbia alla più calda e massiva delle stelle. Di conseguenza, non sempre vogliamo o possiamo accettare il contatto e la relazione con ciò che stiamo inspirando (vi è mai capitato di iniziare a starnutire senza motivo?).

Il torace, il luogo fisico in cui “vivono” i polmoni, è una regione altamente influenzata dalle modalità relazionali di ogni individuo, basti pensare che in quanto “gabbia” racchiude e protegge, ma un’eccessiva rigidità, dei muscoli e del carattere, porta ad un torace compresso e contratto, che può avere difficoltà ad essere libero sia nei movimenti che dai propri condizionamenti, fino ad una difficoltà di espressione fluida delle proprie emozioni e della propria affettività.
Le connessioni del polmone fisico sono l’estensione di quelle del diaframma e del cuore: oltre al loro ruolo fisiologico fondamentale, i polmoni hanno anche una parte da protagonisti in un sistema meccanico teso in sospensione dalla parte alta del torace e dalla colonna cervicale (fino alla base del cranio) che ne fa una sorta di “galleggianti” al contrario. La loro libertà è direttamente collegata alla libertà (meccanica, chimica ed energetica) dell’intero torace, della spalla, del collo e della testa.

Partendo dal fatto che in generale la pulizia degli organi è uno dei precetti fondamentali per prendersi cura di sé, e nelle prossime settimane vi accompagneremo in questo, di certo la pulizia dei polmoni è una delle più importanti.
Possiamo facilmente renderci conto che non basta lavarsi per definirsi “puliti”. La pulizia vera e propria inizia sempre da dentro, innanzitutto dall’energia che ci attraversa: essendo nella trattazione dei polmoni facciamo riferimento alla qualità sottile, allo spirito vitale delle cose, ciò che nei testi antichi è definito prana (sanscrito), pneuma (greco), qi (cinese), ruah (ebraico), awen (gallese), eccetera.
In definitiva, comunque vogliate chiamarla, essa è l’energia che ci attraversa, il collegamento energetico tra lo spirito e la materia, tra i piani sottili e quelli fisici.

Avrete sicuramente visto spesso i polmoni rappresentati da un albero (ed in effetti il sistema dei bronchi e dei polmoni viene anche chiamato albero broncopolmonare) che si nutre dalle radici per poi irradiarsi verso l’esterno. I nostri polmoni lavorano in qualche modo al contrario: prendono energia dall’ambiente esterno (ovvero, hanno radici nel naso) e ci consentono di incamerare ossigeno e di espellere anidride carbonica (ovvero, le loro foglie sono negli alveoli). Curiosamente, l’albero polmonare e l’albero vegetale hanno funzioni inverse ma profondamente interconnesse: il primo usa l’ossigeno e fornisce anidride carbonica, che il secondo utilizza per fornire a sua volta ossigeno. In altre parole, viviamo in un ciclo vitale comune ogni volta che respiriamo.
Come tutti gli alberi, il sistema polmonare ha bisogno d’acqua per lavorare (il vapore acqueo che si deposita al livello degli alveoli) e crescere rigoglioso e funzionante (la faringe e la laringe attraversate dall’aria).
Ripulire i polmoni significa rafforzare la vitalità, il coraggio e la gioia, in una parola la fiducia, che si contrappongono a tristezza e paura.

I polmoni rappresentano infatti, nella loro componente negativa, l’energia della tristezza profonda e dei forti traumi: spaventi improvvisi, cambi repentini, malinconia e lutti di diverso genere (un lutto non è solo la morte di una persona cara, ma lo è anche la fine di una relazione, che sia affettiva o lavorativa, se non addirittura l’abbandono di una parte di noi).
Il complesso processo di elaborazione del trauma (di qualunque genere) ha in qualche modo a che fare con la raffinazione e la digestione, ovvero la capacità di incorporare ciò che di benefico e utile ci dà l’evento/processo, e di dissipare e disperdere ciò che invece può diventare sostanza tossica.
Non respirare, ovvero non alternare le fasi di assimilazione e di espulsione, in questo processo, significa arrestare il corso stesso della vita. Nonostante infatti il sistema polmonare sia l’ultimo che l’organismo utilizza nello sviluppo embriologico (respiriamo solo alla nascita, non prima), e il suo fallimento segni la fine della vita (ma l’ultimo a funzionare è sempre il cuore), passiamo molto tempo a bloccare le sue qualità e il grande dono che ci dà ad ogni ciclo di funzionamento: quello di renderci vivi attraverso lo scambio energetico con il mondo, in modo così immediato e semplice da essere la prima delle più potenti medicine presenti in natura di cui non usufruiamo.
Non a caso la respirazione, come abbiamo detto tante volte, è la base di ogni tecnica di consapevolezza e di guarigione del mondo.

In aggiunta all’esercizio che vi abbiamo mostrato in video, perciò, oggi vi proponiamo una semplice ma potente tecnica di pulizia dei polmoni:

Prendetevi qualche minuto, posizionandovi in un ambiente tranquillo, eretti, con i piedi paralleli a una distanza uguale alla distanza tra le spalle. Trovate una posizione comoda ma stabile, mantenendo morbide le ginocchia e le braccia rilassate.
Quando ve la sentite, iniziate a ondeggiare avanti e  indietro le braccia, partendo con il movimento dalla spalla, proseguendo al gomito, e successivamente ampliate il movimento come quello di un pendolo, lanciando le braccia in alto e lasciandole ricadere senza irrigidirle, proseguendo verso dietro e lasciandole ricadere di nuovo. Lasciate fare al peso del vostro corpo: lentamente, noterete che anche il viso inizia a seguire le mani che si sollevano sopra la testa, e si flette verso lo sterno quando le braccia proseguono all’indietro.
Seguendo il movimento pendolare degli arti superiori, anche le ginocchia dovrebbero iniziare spontaneamente a piegarsi e stendersi a ritmo con l’oscillazione.
Quando avete trovato un ritmo adeguato, iniziate a regolarizzare il respiro, inspirando con il naso quando portate le braccia in alto, ed espirando con un soffio dalla bocca quando le braccia vanno in basso e indietro.

Potete ripetere questo esercizio inizialmente per la durata di 20 oscillazioni, e ripetendolo ogni giorno iniziare ad aumentare fino al vostro limite, rispettando le reazioni del vostro corpo.
Dopo questo esercizio potreste avere colpi di tosse o catarro, che verrà espulso naturalmente dopo la rivitalizzazione della sfera polmonare.

Insieme allo stretching della pleura e all’esercizio di respirazione diaframmatica che abbiamo mostrato questa settimana (li trovate anche qui sotto), avete ora tre strumenti che vi potranno aiutare in tutte le situazioni di sovraccarico, siano esse di origine energetica, emotiva o fisica, a carico del sistema polmonare.
Provare per credere, e per qualsiasi confronto commentate direttamente l’articolo o contattateci direttamente: saremo felici di dialogare con voi!


Buon weekend

Luca e Nicoletta

Respira, sei vivo!

Da quando abbiamo iniziato a scrivere sui social e qui sul blog, ci avete sentito spesso parlare dell’importanza della respirazione, di come essa sia la base della vita e di come sia utile per tornare a sentirci pienamente qui e ora anche durante le attività della vita quotidiana e le pratiche di benessere (alla fine di questo articolo vi mettiamo il collegamento a due vecchi articoli).

Oggi vogliamo parlarvi delle relazioni che il respiro ha con il resto del corpo e di come il semplice osservarlo serva a ristabilire la giusta calma per proseguire quando, ad esempio, veniamo assaliti dall’ansia.
Partiamo da qui, da una pratica: provate a mettervi comodi nella posizione in cui siete, sia che siate seduti o in piedi, cercando di stare eretti con la schiena; ora chiudete gli occhi e portate attenzione all’aria fresca che entra dalla punta del naso e all’aria calda che esce.
Prendetevi il tempo di fare qualche atto di seguito, poi riprendete la lettura.

A cosa avete pensato durante l’esercizio? Dov’era la vostra mente, e dove eravate voi? Quasi certamente eravate in buona parte lì, facendo l’esercizio e nient’altro. Questo è quello che accade ogni volta che portate attenzione a voi attraverso il respiro. Interessante, vero?
In definitiva, è molto semplice ritornare a se stessi e allontanare lo stato di oppressione che spesso ci assale. C’è solo un ostacolo: ricordarsi di farlo. In questo non possiamo aiutarvi molto, ma possiamo stimolarvi a farlo raccontandovi quante cose trovano giovamento da una buona respirazione.

Partiamo innanzitutto con qualche considerazione sulla forma e le funzioni del diaframma. Esso ha una struttura prettamente orizzontale, e non è il solo nel corpo ad avere questo orientamento: insieme ad altre strutture (tentorio del cervelletto, pavimento buccale, orifizio toracico superiore, e pavimento pelvico sono le principali), è parte del sistema dei diaframmi, che contribuisce al bilanciamento delle pressioni corporee. Soprattutto, regola le pressioni in cavità toracica e addominale. Va da sé che ogni volta che viviamo un disagio che riguarda la pressione, dal mal di testa alle difficoltà di andare in bagno, la respirazione è in qualche modo coinvolta, e ci può venire in aiuto nella modulazione se non addirittura nella risoluzione dei sintomi.

Il diaframma, separando due cavità (toracica e addominale), è dotato di orifizi e passaggi per molte strutture: i vasi sanguigni, che dal cuore partono e al cuore devono tornare, tra cui aorta e vena cava, forse i due vasi più importanti in tutto il corpo; i nervi, tra cui spicca il nervo vago, X paio di Nervi Cranici, che origina a livello del midollo allungato, all’interno del cranio, e prima di passare il diaframma si fonde tra vago di destra e di sinistra per proseguire nell’addome; infine, non dimentichiamo l’esofago, che parte da dietro la bocca e raggiunge lo stomaco al di sotto del diaframma.
Nella sua parte superiore, il diaframma offre appoggio al cuore e al suo sacco di contenimento (il pericardio), e ancoraggio e sostegno al polmone e al suo involucro (la pleura). Al di sotto, oltre allo stomaco, anche fegato, milza, duodeno, pancreas e reni sono saldamente connessi a questo muscolo tramite tessuto connettivale (legamento coronario del fegato, legamento frenocolico, legamento di Treitz, capsula pancreatica, piccolo omento e fascia renale).
Dedicare tempo alla respirazione diaframmatica significa migliorare anche la mobilità di questi elementi, e di conseguenza le loro funzioni: il passaggio di cibo, l’innervazione degli organi, l’ossigenazione dei tessuti, la corretta successione delle fasi digestive, la circolazione, e così via.

C’è anche un altro interessante punto di vista da cui guardare al respiro: quello della relazione con il vissuto emozionale. Quando parliamo di modulazione delle emozioni attraverso il respiro non ci riferiamo solamente alla percezione “sottile” di una sensazione interna che diventa più fluida o meno intensa, ma alla vera e propria azione meccanica che il diaframma ha sugli organi, provocando una sorta di massaggio che armonizza e regolarizza l’attività dell’addome, sede principale della sensazione e percezione delle emozioni, almeno nella loro forma più grezza. Vedremo più avanti, parlando dei singoli organi, che diverse tradizioni attribuiscono ad ognuno di essi emozioni specifiche (spesso con corrispondenze esatte).
Possiamo parlare di azione meccanica perché gli organi prendono proprio contatto con il diaframma, e di conseguenza al movimento di uno corrisponde il movimento dell’altro. Tutti loro e le loro funzioni sono correlate alla respirazione.

Possiamo estendere ancora di più il tema: seppure la respirazione sia l’ultima funzione che il feto arriva ad espletare (cominciamo a respirare dopo il parto, ricordate?), è tra le due necessarie al sostentamento di base della vita (l’altra è quella cardiaca).
Deputata primariamente allo scambio gassoso tra ossigeno e anidride carbonica, la respirazione ha l’essenziale funzione di fornire al circolo sanguigno la materia chimica di base con cui le cellule espleteranno le loro funzioni metaboliche, e di eliminare i prodotti di scarto delle stesse.
Ne consegue che tutti i tessuti beneficiano di una buona pratica di repirazione, che miri ad elasticizzare e a rendere fluido e armonioso tutto il corpo. Si parla, in molti casi, di esercizi molto semplici con effetti diretti e sorprendenti su disturbi clinici di varia natura, da quelli ormonali, a quelli muscolo-articolari, perfino a quelli psichici.
Questo avviene per via delle connessioni profondissime del respiro (soprattutto del respiro consapevole) sul cervello: le dirette connessioni tra le vie aeree, attraverso l’osso etmoide, con il pavimento della fossa anteriore del cranio, con il sistema limbico, il midollo allungato e il cervelletto, fanno sì che il respiro, così come ne è influenzato, possa intervenire sulla regolazione degli stati eccitatori o depressivi tipici degli squilibri emozionali su base chimico-ormonale o comportamentale, riportando il sistema nervoso autonomo (e per conseguenza anche quello volontario) ad uno stato di calma e disponibilità.

In sintesi, questa è la base dell’uso del respiro in tutte le pratiche di consapevolezza sparse nel mondo: se il battito del cuore attiva e sostiene, il respiro è il vento che soffia sulle acque, le calma o le smuove a seconda della necessità. Tramite l’inserimento della coscienza nel processo, portiamo tutta la nostra attenzione all’attività più basilare, naturale e vitale che possiamo conoscere. Come recita un famoso motto del Maestro Zen Thich Nhat Hanh: “Respira, sei vivo!” (è anche il titolo di uno dei suoi libri più belli, che vi consigliamo).

Allora, cosa ne dite? Se non siete abituati a questa pratica, vi va di provare?
Un buon inizio, per tutti quelli che non potranno provare esercizi più complessi, ma soprattutto per chi ha poco tempo, è quello, durante la prossima volta in cui vi troverete in un momento di attesa, di sfruttare il tempo della pausa per qualche respiro consapevole, portando semplicemente attenzione alle azioni che il vostro corpo già sta compiendo in autonomia.
Questo semplice gesto (potete ripetervi mentalmente la frase: “inspirando, so che sto inspirando, espirando, so che sto espirando”) porterà immediata calma e molta più disponibilità energetica.

Se invece preferite sfruttare le pause per un’altra lettura sull’argomento, qui sotto vi lasciamo altri articoli in cui abbiamo parlato dell’importanza del respiro.
Vi ricordiamo che molte delle nostre attività si basano sul respiro e ne sfruttano il grande potere per suggerire nuove vie verso la Salute: se volete fare pratica con noi, non vi resta che contattarci.

Buona respirazione a tutti!

Luca e Nicoletta