Holistic Experience 2022

Continua la collaborazione con Fondazione Oasi con un evento che si estenderà per tutta l’estate del 2022: ogni mercoledì alle 19 apriremo i cancelli a chiunque vorrà raggiungerci per un’esperienza all’insegna del benessere, della comunità e della bellezza.
Sette laboratori continuativi e workshop esperienziali apriranno la serata tra yoga, pratiche sonore, consapevolezza corporea e meditazione.
La serata continuerà alle 21 con un aperitivo sulla terrazza panoramica, accompagnato da concerti, conferenze e cinema.

Il nostro impegno, insieme a Fondazione Oasi, è quello di fornire a tutti un servizio di qualità, con professionisti selezionati e capaci, in grado di guidarvi in esperienze di grande impatto sulla salute personale, sociale e ambientale: Holistic Experience è un evento unico nel suo genere nel nostro territorio e in tutta Italia.

Dalle 19.30 di ogni mercoledì sera fino al 21 settembre, saremo presenti con due laboratori esperienziali.
Qui sotto e sulle pagine di Fondazione trovate tutte le informazioni essenziali.
Vi aspettiamo per i laboratori e per passare una piacevole serata insieme, ammirando il tramonto dal magnifico panorama del Parco.


A Corpo Libero con Nicoletta (6 luglio – 21 settembre)

A partire dall’esplorazione sensoriale di un’area corporea, i partecipanti vengono condotti alla sua integrazione nel sistema dinamico dell’intero corpo, e nelle relazioni che esso intreccia con gli altri e l’ambiente. L’attività, accompagnata dalla musica, permette un’immersione profonda e sicura, per promuovere libertà di movimento e di espressione.
A chi si rivolge: a tutti, non è necessario essere allenati poichè l’attenzione sarà alle possibilità ed alle qualità di movimento e percezione disponibili nell’adesso, per giungere ad una nuova consapevolezza e sensibilità dei corpi che abitiamo.
Occorrente: abbigliamento comodo, acqua, tappetino o telo


InCanto con Luca (13 luglio – 21 settembre)

Laboratorio di sperimentazione vocale e benessere sonoro.
13 luglio – “Suoni Primi”: iniziamo il percorso esplorando la nostra voce come farebbe un bambino, nel gioco e nella semplicità dell’esperienza, a contatto con l’ambiente naturale, con il corpo e con il Cerchio.

A chi si rivolge: a tutti coloro che sono interessati a scoprire il potere e le capacità della propria voce. Non è necessaria una pregressa esperienza vocale, solo voglia di sperimentarsi.
Occorrente: abbigliamento comodo, acqua, tappetino o telo, cuscino se preferito.

A Corpo Libero: “I Piedi, il contatto con la Terra”

di Nicoletta Giancola

Il laboratorio di movimento chiamato “A Corpo Libero” nasce dall’idea di proporre un vero e proprio momento di movimento consapevole.

Quando si fa attività di movimento accade spesso che ci si ritrova a rincorrere i movimenti proposti senza aver tempo di ascoltare il corpo, e pretendendo che esso ci segui nella nostra idea di come vorremmo si muovesse. Se questa situazione è accompagnata da musica ad alto volume questa non ci permette di entrare dentro l’esperienza che alla fine risulterà più performativa e di scarico che di ascolto e cura.

Con le attività proposte all’interno di questo laboratorio, che seguono temi legati alle parti corporee o alla sua fisiologia, si vuole portare il partecipante a sperimentare un nuovo modo di fare movimento: quello di essere consapevoli sia nel farlo sia in ciò che il corpo vive e può fare durante. Vengono riconosciute così le connessioni che una parte del corpo ha con tutto il resto per giungere ad una sensazione di appagamento e integrità che, una volta sperimentata, sarà possibile portarla con sé nella vita quotidiana, perché avremo con noi il senso del come e non del cosa muovere.

Questa sera, in occasione del Solstizio d’estate, andremo a sperimentare la connessione che i piedi hanno con la terra. Essi ci fanno da base per poter percepire la gravità e la “messa a terra”, la stessa degli impianti elettrici.

I piedi sono infatti collegati al primo chakra, il chakra della base o della radice. Attraverso questo centro energetico sentiamo il corpo nella sua parte più fisica e lavorare sulla connessione attraverso i piedi ci riconsegna la possibilità di sentirci più ancorati alla terra e quindi ci sentiamo più dentro il nostro corpo, letteralmente più incarnati. 

Il risultato di questo? 

Una rinnovata capacità di sentire e sentirci e così la possibilità di ricollegarci a ciò che la nostra anima attraverso il suo veicolo, la macchina biologica, vuole comunicarci.

Un corpo libero di sentire è un corpo nuovo a cui non siamo più abituati e spesso può farci sentire cose che non ci piacciono o ci fanno stare male, ma è la via che l’anima ha per farsi ascoltare.

Il nostro compito è quello di condurvi alla comprensione dei suoi messaggi dopo avergli restituito la libertà di espressione e di movimento.

Che l’energia del sole possa sostenervi in questa scoperta.

Buon Solstizio a tutti e a stasera!

Gli Spazi del Rispetto

“La bellezza del cerchio è che non possiamo guardarci alle spalle, e la forza del cerchio è che possiamo solo vedere la bellezza di ognuno”.
(Angaangaq Angakkorsuaq)

Il concetto di rispetto è utilizzato in varie forme nella nostra società, in maggioranza legate alla capacità di avere riguardo per il nostro prossimo. È infatti il guardare a fondo, e quindi curarsi di, a costituirne il maggior significato.
La parola è infatti collegata alla facoltà umana di osservare e valutare in profondità: la parola latina respectus, da cui deriva, è infatti un composto che mette in relazione la particella re- (a fondo, di nuovo), e del verbo spicere, che porta con sé il significato di osservare, considerare, guardare, ed è strettamente collegata a diverse parole che hanno a che fare con queste facoltà. Rispetto, specchio e scopo hanno infatti la stessa provenienza, rintracciabile nella radice indoeuropea SPAC- che ha prodotto spicere (guardare) – da cui rispetto e specchio – e σκοπός (osservatore) – da cui scopo. Curiosamente, dalla stessa radice deriva σκέπτομαι (considerare) – da cui scettico, ovvero uno che osserva, che specula.
La stessa parola specie, a cui il latino species riconosce il significato di forma, apparenza, conformazione, deriva da questa area: le parole derivate dalla radice SPAC- (o SPEC-) hanno a che fare con la capacità di vedere, riflettere, considerare qualcosa o qualcuno in modo profondo e preciso, ovvero non grossolano, avventato o parziale.
Il rispetto è per lo più considerato come la capacità di essere consapevoli delle caratteristiche di una persona, di una cosa o di un contesto, osservandone per così dire le regole proprie, senza scavalcare i loro confini.

Da un punto di vista del corpo sociale, l’essere umano si può riconoscere in diversi spazi in cui vive diverse sfumature di esperienza: come già sottolineato dall’antropologo Edward T. Hall negli anni ’60, esistono diversi e variabili spazi prossemici (da proximitas, vicinanza), che delineano il nostro vissuto sociale. A grandi linee, almeno nella cultura occidentale, possiamo identificare quattro fasce di spazio, in cui all’accorciarsi della distanza aumenta il grado di intimità, e diminuiscono gli altri che vi hanno libero accesso: un primo di tipo pubblico, dai 3 ai 7 metri di distanza dal nostro corpo; uno sociale, da 1 a 3 metri; uno personale, da 40 cm circa a 1 metro; e uno intimo, al di sotto dei 40 cm fino al contatto diretto.
In base al contesto, alla natura della relazione tra gli interlocutori e alla cultura di appartenenza, le distanze possono variare o modularsi, ma restano importanti nello stabilire la qualità della relazione interpersonale, nel valutarne rischi e benefici, e nel modulare il comportamento fisico, vocale, e psichico.
Ogni relazione – anche quella terapeutica – si muove in qualche modo attraverso questi spazi, preferendone a seconda dei propri scopi e delle proprie modalità uno o molti. Le discipline corporee, ad esempio, ognuna a suo modo, hanno maggiormente a che fare con lo spazio intimo e quello personale, rispetto alle discipline basate sul dialogo, che spesso si svolgono nello spazio sociale, per mantenere una distanza fisica sufficiente a concentrarsi su un dialogo intimo.
In questi spazi giocano fondamentale importanza il vissuto sensoriale, la regolazione delle emozioni e la sintonizzazione cognitiva con l’altro: se uno di questi tre elementi viene meno, l’impressione di sentirsi rispettati può vacillare. Una visita medica si svolge mediamente nello spazio sociale e personale, ma l’esperienza può essere molto diversa: quante volte le persone raccontano di essere state a malapena guardate dalla persona di fronte a loro, al di là di una scrivania che viene vissuta come un muro? Con un familiare, soprattutto se è un partner, condividiamo liberamente lo spazio intimo, ma quante volte può capitarci di non sentirci rispettati da una sua frase o da una sua parola? 
Il concetto di rispetto, come forma di osservazione degli spazi prossemici e delle loro regole, è sicuramente il più comune e considerato nella nostra società: anche prima del dibattito semantico tra distanziamento fisico e distanziamento sociale emerso con le attuali norme sanitarie, lo spazio fisico e sensoriale si mescolava e si confondeva con il vissuto sociale.
Tuttavia, molto spesso questo concetto è a senso unico; è infatti facilmente concepibile dall’altro o dall’esterno verso il nostro interno (in senso afferente), ma difficilmente ci chiediamo davvero se siamo noi a rispettare gli altri o l’esterno (in senso efferente).

Un significato differente, più affine al secondo esempio, è quello che lega il rispetto al rispecchiamento, così come le due parole sono collegate semanticamente attraverso la parola latina respicio.
Ogni persona, oggetto o evento che entri in uno dei nostri quattro spazi può essere osservato come esterno, oppure come se fosse uno specchio che restituisce alla nostra percezione le fattezze (species), e le caratteristiche del nostro spazio.
Nel corpo, inteso come sistema biologico, questo fenomeno è molto studiato: è infatti alla base dei complessi meccanismi che orientano il nostro corpo e ne scolpiscono le forme in relazione allo spazio circostante (interocezione, propriocezione, esterocezione).
È molto più difficile accedere a questa forma di osservazione nelle relazioni emozionali, poiché ci mette di fronte al fatto che ogni percezione che abbiamo del mondo emerge, in realtà, dai nostri filtri e dalle nostre chiarezze, più che da una realtà oggettiva: ne deriva che ogni evento, o meglio la lettura che ne facciamo, è in qualche modo sotto la nostra responsabilità. Difficilmente, infatti, chi ci taglia la strada in macchina vuole farlo per danneggiarci, ma noi lo percepiamo ugualmente come se fosse un atto direttamente rivolto a noi, sovrapponendo all’evento una lettura che deriva da uno schema interno preesistente, e non corrispondente all’evento stesso. È un meccanismo studiato da molte discipline differenti, da quelle spirituali – che spesso parlano della legge dello specchio, o del teatro interiore – alla psicologia – che ce lo descrive come parte delle distorsioni cognitive (Beck).
Siamo quindi testimoni di un gioco di specchi, in cui la realtà non è oggettivamene quella che percepiamo, ma emerge fenomenologicamente da ciò che noi leggiamo di essa. Tutto questo non è affatto privo di rischi, come ci racconta il mito di Narciso, condannato a innamorarsi della sua stessa immagine riflessa e infine suicidatosi perché non poteva raggiungerla in nessun modo: non dobbiamo confondere ciò che possiamo vedere di noi attraverso la realtà, come se fosse uno specchio, con il fatto di esserne gli unici padroni, evitando di metterci in relazione. Quest’ultima posizione può solo portare a un vissuto illusorio, e in definitiva distruttivo.

C’è uno spazio in cui possiamo evitare questi rischi, e sperimentare rispetto e rispecchiamento con il giusto contenimento: il cerchio. Esso è una forma che l’essere umano frequenta e delinea da molto tempo, e di cui si è servito frequentemente nella propria storia sociale e comunitaria. Nel cerchio, infatti, a seconda della sua estensione e del numero di persone che lo compongono, è poco probabile che il nostro spazio personale venga invaso, ma piuttosto sperimentiamo l’accoglienza. Idealmente, pur aprendosi alla possibilità di essere osservati da altri, i nostri spazi sono rispettati e possiamo, in altre parole, essere vulnerabili senza sentirci esposti al pericolo.
C’è una grande varietà di attività che sono in tutto il mondo associate al cerchio, ma tutte coinvolgono almeno la danza/movimento, il canto/musica, e la narrazione. Mentre le prime due possono essere molto esplicite (molte forme di celebrazione sociale, così come di giochi infantili e di attività terapeutiche, si ricollegano alla danza e al canto in cerchio), la terza può essere sottesa e non dichiarata, ma è sempre presente. In un gioco in cerchio (Giro giro tondo, casca il mondo…), i bambini raccontano di sé attraverso il corpo, le movenze, gli sguardi e le voci molto più di quanto farebbero rispondendo a una domanda, senza usare altre parole che quelle della canzone che cantano tutti insieme.
Questa attività, che è il retaggio di un uso ben più antico e profondo, è connaturata a tutte le culture in diversi livelli, che hanno costruito in cerchio i loro luoghi più sacri, cercando per così dire di immortalare la figura che istintivamente crea un gruppo umano prendendosi per le mani, ma che si disperde con essi.

Ritorna quindi nel detto eschimese che apre questo articolo, il senso più profondo del cerchio, come luogo di aggregazione e sostegno, e di rispetto: nell’incapacità di parlarci alle spalle, la possibilità di guardare ai difetti dell’altro con la stessa compassione con cui guarderemmo i nostri; nel poterci guardare negli occhi, la possibilità di vedere la bellezza che sorge anche da quei difetti.