La Medicina del Silenzio

di Luca Cascone

” Ti chiederanno: ‘Cos’è il silenzio?’. Tu rispondi: ‘È la pietra di fondazione del Tempio della Saggezza’. ”
Pitagora

Vi siete mai accorti di quanto il nostro tempo tema il silenzio?
Viviamo in un contesto storico, sociale e culturale mai visto prima nella storia dell’Uomo: abbiamo sempre a disposizione una fonte di copertura sonora per le nostre vite, che mima e incarna sempre più efficientemente il chiacchiericcio continuo della mente.
Girando per strada, vi sarete sicuramente accorti della massiccia e sempre più frequente presenza di cuffie più o meno voluminose che trasmettono musica in continuazione; entrando nei negozi, è d’uso comune ritrovarsi in un ambiente in cui aleggia (più o meno intensamente) musica di varia natura, di solito non scelta ad hoc; negli uffici, in molti accompagnano il proprio lavoro con la radio, o più recentemente con le playlist musicali trovate online; in macchina, sui mezzi, nei luoghi pubblici in certe occasioni (come in questo periodo natalizio) ci ritroviamo immersi in un paesaggio sonoro continuamente saturato.

Non è solo questione di musica, in effetti: la stessa saturazione sonora è data dal rumore di fondo di moltissimi contesti più o meno urbanizzati: nelle città o nei centri di media grandezza, è rarissimo trovarsi in una condizione di silenzio, o per così dire il silenzio è determinato dalla minor soglia di rumore possibile, che è comunque molto alta rispetto alla normalità a cui siamo stati abituati nella storia.
Anche se l’Uomo incrementa il suo livello di rumore a livello naturale, e la Natura stessa ha i suoi picchi di rumorosità (si pensi a certi suoni di animali, o anche all’immane potenza sonora di certi eventi naturali, come il fulmine), l’attuale continuità del rumore causato dall’Uomo e dalla società industrializzata sta diventando un problema importante, disturbando il comportamento di molte specie animali – un caso molto famoso è quello dei grandi cetacei, spesso disorientati dall’inquinamento acustico ed elettromagnetico – ma anche la salute stessa degli esseri umani: si ritiene che lo stress acustico sia una concausa molto frequente di diversi disturbi, dalla stanchezza cronica, alla difficoltà di concentrazione, a turbe neurovegetative più serie – come i disturbi del sonno -, fino a patologie anche molto gravi, come certe presentazioni del diabete o malattie cardiovascolari anche letali.

Il rumore della nostra mente mai sazia di informazioni e di stimoli, che fino a pochi decenni fa era solo un flusso di pensieri non sempre materializzato, è diventato a tutti gli effetti completamente fisico, e avvolge e permea ogni momento della nostra vita: dalla musica di cui sopra, alla televisione “accesa per farci compagnia“, ai rumori del traffico, a quelli dei trasporti.
Un’esperienza molto comune durante il lockdown dell’inizio del 2020 è stata proprio quella di riscoprire il silenzio (o almeno qualcosa di molto vicino ad esso): per darvi una stima, considerate che secondo alcuni studi il rumore di fondo nelle città industrializzate si ridusse anche del 50%, incidendo positivamente anche su diversi disturbi clinici legati all’inquinamento acustico.

Come esseri umani (e soprattutto animali) abbiamo un vitale bisogno di silenzio.
Non è per questo che abbiamo cominciato a pregare, o a meditare, o a ricavare spazi nelle comunità crescenti e sempre più complesse per prendere una pausa e ascoltare profondamente dentro e intorno a noi?
Il periodo natalizio ne è una prova tangibile (e spesso non in positivo): almeno nell’emisfero boreale, stagionalmente parlando, questo è un periodo di riposo e di introspezione per tutta la Natura. Gli animali si acquietano, molti vanno perfino in letargo; le piante rallentano il loro metabolismo; la Terra stessa, secondo le antiche tradizioni, dorme in attesa di risvegliarsi.
Il periodo natalizio nasce proprio per celebrare questo momento, nel clima successivo alla ricchezza autunnale e al progressivo addormentamento, celebrando con gioia la promessa del Solstizio d’Inverno: la nascita di un nuovo calore, e di nuova energia vitale, che però rimane ancora lontana, mentre il buio è al massimo della sua estensione.
È (o dovrebbe essere) un periodo di raccoglimento, di intimità e di silenziosa osservazione.
Cosa ci spinge a trasformare tutto questo in un caos rumoroso e cacofonico?

Forse temiamo il Silenzio.
Nel silenzio è difficile ammantarsi di un chiacchiericcio rassicurante, ed è molto complesso continuare a cercare stimoli esterni. È anche molto difficile ascoltare il proprio corpo, nel silenzio: è molto meglio muoversi sull’onda di uno stimolo esterno, soprattutto se acustico. Avete mai provato la sgradevole sensazione (per la mente, ovviamente) di danzare senza una musica ad accompagnarvi?
Il silenzio ci costringe ad avere a che fare con noi stessi, così come siamo, senza alcun intermediario.
Certo, ovviamente aveva ragione il Maestro Pitagora: senza questa premessa, nessuna Saggezza può essere davvero raggiunta. Ma, forse, non aveva considerato che il coraggio di stare è qualcosa che molti di noi fanno fatica ad alimentare, e che anche i più saggi a volte perdono.

Senza pretese di diventare grandi Saggi, proviamo a concedere a noi stessi alcuni momenti di silenzio al giorno: al risveglio, prima di dormire, in un momento di tranquillità o prima di parlare, prendiamo brevi attimi di pausa dal continuo e indiscriminato fare, e proviamo a goderne.
Si dice che a Natale si sia tutti più buoni: proviamo a essere più silenziosi, e scopriamo se questo ci conduce a uno stato di maggiore disponibilità, benessere e apertura.

La Medicina del Silenzio è antica quanto la prima Alba e la prima Neve: diamole lo spazio che si merita, e lei ci porterà Doni inaspettati.

La metafora dell’Arpista sul cammino della salute.

di Luca Cascone

Sebbene l’arpa sia diffusa in tutto il mondo con diverse varianti, e detenga il primato di anzianità tra gli strumenti a corde, ha un’importanza insuperata in quell’area geografica denominata “celtica” (sintetizzando, tutto il nord-ovest Europeo, continentale ed insulare), specialmente in Irlanda, dove sopravvive ancora oggi una cultura fortemente radicata di questo strumento come identitario di un popolo e del suo patrimonio musicale e folklorico, tanto da farne l’emblema nazionale.
Non mi addentrerò qui nella complessa e affascinante storia di questo legame etnomusicologico e antropologico, ma prenderò in prestito due delle sue emanazioni per legarle al concetto di Salute.

L’arpa porta con sé un’interessante metafora, tramandata dall’antica scuola sapienziale dei Druidi e dei Bardi: ognuna delle sue parti strutturali ha una corrispondenza con il nostro sistema-corpo. La mensola, la parte superiore, a cui si fissano le corde e da cui si possono allentare e tendere, corrisponde alla mente, che può regolare o influenzare i processi del nostro sistema in modo da renderli più o meno intensi. La colonna, che regge e connette la mensola e la cassa, garantisce la trasmissione della tensione e della vibrazione, ed è equiparabile alla nostra dimensione emotiva. In altri esempi – che personalmente preferisco – è la tavola armonica, a cui si agganciano inferiormente le corde e che ne struttura il timbro di base, ad essere presa ad esempio per l’analogia con le emozioni. La cassa, infine, amplifica e modula il suono, sostenendo il resto dello strumento, esattamente come fa il corpo fisico con i nostri vissuti mentali ed emozionali.
Ognuna delle parti, va da sé, deve essere il più possibile solida e in stretta connessione con le altre perché lo strumento funzioni: è questo il primo principio della Salute come processo integrato non solo tra i diversi sistemi biologici, ma anche tra le diverse dimensioni del nostro vissuto, personale e sociale.

In Irlanda esiste un detto, passato oralmente di maestro in allievo, come vuole la tradizione, per generazioni che si perdono nella storia: “Un arpista passa metà della sua vita ad accordare, e l’altra metà della vita a suonare uno strumento scordato”.
Da arpista, vi posso garantire che è una legge universale: un refolo d’aria, una variazione d’umidità improvvisa, un pensiero passato di traverso tra voi e gli ascoltatori, e scordatevi (appunto) un’accordatura decente.
Al di là dei sorrisi (molti) del pubblico e (pochi) miei quando racconto questa storia, vi invito a riflettere sul fatto che la nostra salute funziona esattamente secondo lo stesso principio.
Siamo infatti costantemente immersi in un processo che vede oscillare il nostro sistema corpo-mente-emozioni tra due tensioni opposte: quella all’aggregazione e alla stabilità strutturale e quella al disordine, alla disgregazione e all’instabilità. In due parole, all’Ordine e al Caos, all’Accordatura e alla Scordatura.
Viviamo spesso l’impressione erronea che la prima corrisponda alla salute/benessere/integrità, e la seconda alla malattia/disagio/disabilità: entrambe non sono situazioni statiche, ma processi dinamici e complessi che si intercorrelano. L’oscillazione tra Ordine/Accordatura e Disordine/Scordatura è necessaria al bilanciamento costante delle informazioni che il sistema riceve ed emette, e alle sue capacità di far fronte agli stimoli. In gergo scientifico, questo processo si chiama equilibrio allostatico, ed è il fondamento della salute: avere sufficienti riferimenti, conoscenze e riserve di energia per adattarsi ai cambiamenti esterni ed interni, senza che, prevalendo sul proprio contrario, l’ordine diventi congelamento e staticità, e il disordine diventi disgregazione e distruzione.
Questo vale ad ogni livello, dall’organismo umano a quello sociale, planetario e cosmico (non è la gravità a mantenere in relazione due stelle, mentre la distanza impedisce loro di collassare l’una sull’altra?).


È a questo punto che dobbiamo far entrare in gioco i tre elementi che danno ragione dell’esistenza dell’arpa – e anche del corpo umano: le corde, il suono e il suonatore.

Partiamo dalle corde: sono la voce stessa dello strumento, che se ben costruito e mantenuto può sopportarne l’immensa forza tensiva (a seconda delle corde e del tipo di strumento, la cordiera di un’arpa sviluppa una tensione tra i 400 e i 500 kg!) e garantirne la purezza di suono. Perfetta combinazione delle tre componenti descritte prima, le corde sono il vero cuore dello strumento, così come il cuore dell’uomo si esprime puramente solo se corpo, mente ed emozioni sono in armonia tra loro.

Il suono corrisponde alla voce dell’essere umano, talmente caratteristica e fondamentale da essere un fattore identitario: alcuni studi definiscono la voce umana come “volto sonoro”. Non a caso, a meno di impedimenti, nella nostra cultura sono la Voce e la Parola a veicolare pienamente chi siamo, ed è il Logos/Verbo il principio determinante della realtà.

Infine, giungiamo all’Arpista, senza il quale le corde non produrrebbero suono, e nemmeno lo strumento potrebbe essere accordato e tenuto in buono stato: la nostra Anima, allo stesso modo, infonde vita, calore e direzione alla nostra macchina corporea, insieme a tutti i suoi Alleati e alle Forze che la sostengono.

Lo dimentichiamo molto spesso, ma la nostra personalità e i nostri corpi devono accordarsi per mettersi al servizio dell’Arpista, e solo così il canto che produrranno sarà davvero puro e degno di essere cantato ed ascoltato.
Il nostro compito è continuare ad accordarci per essere strumenti in mani più capaci delle nostre. Solo così potremo aspirare alla vera e profonda Salute globale.

Sulla Sintonia

“Essere umani, piante o polvere cosmica: tutti danziamo su una melodia misteriosa intonata nello spazio da un musicista invisibile”.
(Albert Einstein)

L’esperienza umana è da sempre divisa tra la misurazione quantitativa dei fenomeni e la loro resa qualitativa. Curiosamente, mentre è relativamente semplice definire i parametri quantitativi (almeno una volta che si sappia come fare), è piuttosto difficile dare una definizione universale di quelli qualitativi.
Tutti noi sappiamo misurare l’altezza di una parete, di una persona o di un suono, ma quanti sanno definire con precisione le relazioni che quella parete contiene, le emozioni che evoca quella persona, e i ricordi che quel suono produce?

Il termine tono deriva direttamente dal greco τόνος, o dal latino tonus, entrambi con significato di tensione: è, infatti, la tensione dell’oggetto (corda, membrana, aria, ecc.) che vibrando produce un suono a determinare l’altezza della nota emessa. Analogamente, il termine sintonia, composto di σύν (con, insieme) e τόνος (suono, tono) significa, letteralmente concordanza di tensione, o accordo di suoni.
Mentre tono fa parte del primo gruppo (tensione di un oggetto e altezza sonora sono infatti misurabili), sintonia entra a ragione a far parte del secondo, poiché descrive una relazione, e non un oggetto. Colloquialmente, diciamo che un oggetto è sintonizzato con un altro quando alcune delle reciproche caratteristiche (a.e. forza, ritmo, ampiezza) si trovano in un rapporto di eguaglianza o di armonia. Per estensione, diciamo di sentirci in sintonia con qualcuno o con un fenomeno quando questi incontrano favorevolmente le nostre caratteristiche, o le due cose si sovrappongono.
Ma cosa intendiamo davvero?

In realtà, possiamo dividere con precisione gli ambiti solo parlando della parola tono.
In anatomofisiologia, essa descrive l’intervallo di tensione ottimale che deve sussistere in un muscolo per espletare la sua funzione caratteristica, e per estensione la distribuzione di tensione necessaria a mantenere l’equilibrio statico di un sistema muscoloscheletrico.
In musica, essa descrive un particolare intervallo, o tensione, tra due suoni (quello di seconda maggiore, ovvero a.e. quello tra un Do e un Re), e ne derivano i concetti di tonalità, ovvero l’insieme dei principi armonici di un brano, e di intonazione, ovvero di aderenza armonica a un elemento o sistema musicale.
In linguistica, il tono è un tratto prosodico che definisce la variazione o la costanza del profilo melodico di una sillaba (per cui si definiscono lingue tonali, come il cinese, e lingue non tonali, come l’italiano); l’intonazione, invece, è il profilo melodico dell’intera frase (a.e in italiano ascendente, come in una domanda, o discendente, come in un’affermazione).

Potremmo aggiungere molti altri ambiti al nostro elenco, ma ciò che ci interessa sottolineare è l’uso del termine che si fa colloquialmente: mentre il significato di tono muscolare rimane relativamente simile a quello specialistico, di sicuro un linguista o un musicista non lo userebbero mai per descrivere quel misto di caratteristiche (timbro, altezza, intensità, ritmo) che definisce l’intonazione di una voce.
Parliamo infatti di tono di voce riferendoci alle variazioni e alle caratteristiche che ci comunicano non tanto il contenuto cognitivo dell’enunciato (cosa viene detto), ma bensì quello emotivo, il colore del discorso (come viene detto qualcosa).
Queste componenti della comunicazione, dette para-verbali (dove quelle non-verbali sono determinate, appunto, dalle variazioni di tono e dinamica del corpo), provengono da una fase in cui l’uomo, e il bambino che ripercorre le sue tappe evolutive, non era padrone del linguaggio verbale, ma comunicava per mezzo di nuclei melodici strutturati come frasi musicali, in cui si inserivano sia informazioni quantitative (distanza, altezza, ecc.) sia soprattutto qualitative (emozioni): letteralmente, l’uomo è stato prima cantante che parlante, e mantiene questa caratteristica in ciò che chiamiamo, appunto, intonazione, e che percepiamo e decodifichiamo, spesso senza rendercene conto, come elemento di colorazione della comunicazione.

È dal tono e dalla dinamica muscolare e vocale, che riusciamo a comprendere – non senza un certo margine d’errore – se il nostro interlocutore è arrabbiato o stanco, felice o preoccupato, al di là di ciò che ci dice.
Se per caso parlaste con un interlocutore cinese, non sareste probabilmente in grado di leggerne i comportamenti come fareste con un vostro amico, o comunque con una persona proveniente dalla stessa cultura e contesto linguistico. Anche nel secondo caso, avreste probabilmente alcune difficoltà: vi è mai successo, sentendolo parlare, di ritenere un amico triste, mentre era semplicemente stanco?
Questo fenomeno ci dimostra che la sintonia non è un’esperienza semplice, e non sempre si realizza in modo completo: per usare ancora un esempio molto comune, a chi non è capitato di sintonizzarsi su un canale radio o video, ma di non riuscire a ricevere un segnale completamente chiaro? Lo stesso fenomeno, sebbene con variabili molto più complesse (e quindi margini d’errore molto più importanti) avviene nel caso della comunicazione umana.

Per darne una definizione generale, la sintonia (o sintonizzazione) è la concordanza, parziale o completa, tra lo stato di un oggetto e di – almeno – un secondo messo a confronto: è, quindi, sempre, un processo di relazione. In uno degli esempi sopra, il nostro amico è il primo oggetto, e noi il secondo: potremo sintonizzarci correttamente con lui solo se saremo in grado di ricalcare correttamente il suo stato, riducendo al minimo il grado di interferenza. Nell’età evolutiva, questo fenomeno è ben osservato e studiato nel rapporto madre-bambino, in cui il secondo ricalca e poi sperimenta le variazioni sul comportamento fisico e vocale della prima, per elaborare strategie di interazione con l’ambiente e crescere in abilità e competenze.

Estendendo il nostro esempio, capiamo come possiamo sperimentare l’esperienza dell’essere in sintonia non solo con un’altra persona, ma con un qualsiasi altro ente: un animale, una pianta, un cibo, una musica, una città, una stagione, un pianeta, un periodo storico, eccetera.
In tutti i casi, l’armonia percepita tra noi e il secondo soggetto è sicuramente causata dal grado di concordanza con una o più delle sue caratteristiche, che possiamo riconoscere e sviluppare dentro di noi.  

Lo studio di questo fenomeno è presente in tutti i tempi e le culture, e si basa sulla relazione qualitativa tra diversi ambiti e oggetti, non necessariamente simili. Così, per esempio, le medicine tradizionali di tutto il mondo hanno osservato la sintonia tra la natura e il corpo umano, elaborando strategie di cura e di promozione della salute basate non tanto su caratteristiche quantitative, ma su un principio simbolico e di analogia che sintonizza l’uomo a determinate caratteristiche delle stagioni, delle piante, delle pietre, degli animali, degli astri e degli elementi naturali come forma di promozione dell’armonizzazione delle energie interne (ciò che chiamiamo autoguarigione).
Da questa forma di osservazione, presente nell’uomo fin da quel tempo in cui ancora non possedeva un linguaggio verbale, ma una musilingua olistica e simbolica, si è strutturata con il tempo un’immagine che attraversa molte culture, quella di un Canto Universale, a cui tutti i fenomeni devono accordarsi e relazionarsi, o riaccordarsi in caso di perdita della connessione. I Greci, da Pitagora in poi, parlavano di Musica delle Sfere o Armonia Universale (concetto ripreso anche nel Rinascimento); nella mitologia Vedica, il Nada Brahma è il Suono Universale, manifestato nella sua forma più pura dal suono Om come suono originario; nella mitologia ebraico-cristiana, il mondo è manifestazione della Parola, concepita inizialmente come Suono, di Dio.
I Celti chiamavano questo suono Oran Mòr, “Grande Canto”, descrivendolo come la somma interferenziale di tutti i suoni dell’Universo, onnipresente nella trama stessa del mondo: curiosamente, l’astronomia moderna ci dimostra l’esistenza della Radiazione Cosmica di Fondo, ovvero l’impronta vibrazionale (elettromagnetica, ma convertibile in suono) del suono originario del Big Bang, che ancora si espande nell’Universo.

Non a caso, la musica è stata il mezzo preferito di espressione dei processi di risintonizzazione al Grande Canto in moltissime culture, e ha sempre trovato spazio nella rivitalizzazione e nei processi di guarigione dell’essere umano: che sia attraverso il canto, la danza, l’ascolto o la parola, tutti gli esseri umani ritrovano il proprio stato di salute quando ritrovano l’armonia con i cicli naturali che i nostri progenitori studiavano e conoscevano intimamente.

La prossima volta che vi ritroverete in una situazione di disagio, chiedetevi: se mi fosse possibile, cosa potrei fare per ristabilire la sintonia con l’Armonia Universale? Scoprirete che la risposta è raramente complicata o fuori dalle vostre possibilità immediate: spesso, basta un respiro, un gesto, una risata, un canto, o l’ascolto attento e profondo della Natura per rimetterci sulla via giusta.