Radicarsi per essere Liberi

“Metti radici nella terra, così potrai ergerti alto nel cielo: metti radici nel mondo visibile così da raggiungere l’invisibile”
Osho

Il termine “radicamento” è molto spesso usato in italiano per tradurre il più ampio termine anglosassone “grounding”, rendendone il significato legato alla capacità di aderire e di aggrapparsi al suolo, sia fisicamente che simbolicamente. Questa capacità, che negli alberi è appunto collegata alle radici, negli animali e di conseguenza nell’essere umano si esprime in una diversa relazione con il piano d’appoggio: mentre l’albero penetra nel suolo e vi si ancora, il nostro corpo aderisce e al tempo stesso reagisce ad esso, principalmente attraverso i piedi. Per questo, alcuni traducono il termine “grounding” con “atterramento”; sebbene sia forse meno elegante, può darci una diversa visione e un diverso risvolto pratico.

Attraverso il grounding, mettendoci in comunicazione con il nostro centro di gravità (che è situato tra il pube e l’ombelico, all’interno dell’addome), attiviamo una percezione di stabilità ed equilibrio per un’infinita possibilità dinamica, sentendoci sostenuti e non vincolati al terreno. Ogni volta che scegliamo di eseguire un movimento, che sia veloce ed automatico o studiato e cosciente, dobbiamo essere radicati: un movimento efficace parte dal centro, dal nostro interno per raggiungere la periferia e l’esterno.

I modi per sperimentare questa capacità sono moltissimi. In definitiva, tutti quelli che ci permettono di sentire il nostro centro.

Tra questi, è molto utile esercitarsi a sentire il peso.
Posizionandoci in piedi, giocando con l’appoggio dei nostri piedi, possiamo percepire la forza di gravità che ci attira al suolo attraversando tutto il corpo, ogni parte del quale reagisce in un gioco di equilibrio dinamico. Anche da seduti, o da sdraiati, possiamo porre l’attenzione su come e quanto riusciamo a lasciare il nostro peso verso terra, e percepire il sostegno uguale e contrario che essa ci restituisce. Anche se non è necessario muoversi per allenarsi in questa pratica, sperimentare diverse sensazioni di tensione e di peso aiuta moltissimo a percepire il gioco gravitario.

Anche la consapevolezza del respiro è un utile strumento di radicamento.
Connettendoci al respiro, lasciamo che l’inspirazione e l’espirazione raggiungano uno stato di equilibrio senza lasciare pause: arrivati a un buon equilibrio, possiamo scendere in profondità con l’attenzione, seguendo la via verticale che ci percorre dalla testa ai piedi, l’asse cielo-terra che ricorda il tronco dell’albero, fino a toccare nell’addome un punto di equilibrio tra la parte superiore e quella inferiore del corpo. Da qui, possiamo esplorare la dinamica del respiro che si sviluppa nella dimensione orizzontale, contattando la sensazione di espansione e di retrazione antero-posteriore e laterale, all’intersezione tra il piano frontale e quello trasversale.

In terza e ultima battuta, possiamo rendere ancora più viva la sensazione del radicamento e del centro quando il respiro si fa vibrazione e suono: la vocalizzazione, naturale conseguenza della respirazione, è da sempre strumento di esplorazione e di centratura dentro di sé. Molto utile a questo scopo è la vocalizzazione della lettera “M”, detta “humming”, che garantisce la massima percezione interna del suono: le labbra sono infatti chiuse, e l’aria che esce dal naso disperde la minima quantità di vibrazione, massaggiando dall’interno tutto il nostro corpo, dalle cavità fino alle ossa, e distendendo anche le tensioni più profonde.

Pochi minuti al giorno di queste pratiche, eseguite in successione o singolarmente, secondo il bisogno, garantiscono non solo un grande senso di presenza corporea, ma anche un profondo senso di benessere e di vitalità. Il corpo ne risulterà rinvigorito e alleggerito al tempo stesso, e con lui si appianeranno gli stati emotivi più turbolenti. Anche la mente, concentrandosi sul processo dell’esercizio e sui suoi effetti, smetterà di inseguire febbrilmente i pensieri, accorgendosi di poter fare una pausa ristoratrice.

Radicati al nostro centro, fisico, emotivo e mentale, possiamo procedere liberamente nel mondo, godendoci il cammino, sapendo di essere sempre a casa dentro noi stessi.

“Corpo, Suono, Parola: l’arte della Narrazione che cura”

Secondo alcune ricerche, nel rapporto tra un bambino e un adulto si scambia una narrazione ogni 7 minuti (Kottler): si potrebbe sostenere, come fanno alcuni studiosi, che il pensiero simbolico-narrativo sia alla base di tutte le attività umane, fin dagli albori della specie (Bruner).
Fin da quando le prime comunità hanno cominciato a formarsi e stabilizzarsi, esso è insito nella comunicazione a tutti i livelli: comunichiamo per raccontarci e raccontiamo per comunicare, per costruire esperienze condivise.
Fin dal remoto tempo dei nostri progenitori preistorici, usiamo un complesso sistema di interconnessioni e sinergie per mettere in contatto il nostro mondo interno verso l’altro, il mondo, l’Altrove.

Il Corpo, sicuramente, ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita della comunicazione umana, non solo come limite anatomico, ma anche come stimolo organizzatore: senza le strutture adatte, non ci saremmo spinti oltre una comunicazione basata su poche e ambigue informazioni veicolate da gesti e vocalizzazioni piuttosto grezze.
Per i più prossimi antenati della nostra specie, i Neanderthal, l’esigenza di coordinare gruppi di individui in un più veloce ed efficace sistema di comunicazione ha portato alla constatazione che il corpo non basta da solo a veicolare efficacemente un sistema complesso di informazioni, ma che contemporaneamente ne costituisce la base imprescindibile: è il mio vissuto somatosensoriale che, per primo ed ultimo, devo valutare e sintetizzare, per poi renderlo comunicabile.
Paradossalmente, per raccontare il vissuto del corpo, il corpo stesso non basta, e allo stesso tempo senza di esso non c’è nulla da raccontare.

Qui interviene il Suono.
Lo sanno bene gli animali, ognuno dei quali ha stabilito una propria forma di comunicazione basata sull’aspetto non verbale e su quello paraverbale, in diversa misura e complessità.
Le api danzano e cantano per comunicare ai propri simili il corso del sole, la posizione delle risorse, eccetera. I mammiferi hanno sviluppato forme sempre più complesse di comunicazione sonora in cui l’Uomo è stato immerso ancora prima di esistere, lungo tutta la linea evolutiva. È così che il racconto di noi è prima Canto, e solo dopo Parola: una musilingua fatta di corpo e suono puro (Mithen), che ritorna nel lattante che si esercita verso la parola, nel canto sacro e nel suono primordiale i cui echi impregnano la mitologia di tutti i popoli.

Con il tempo, e con l’evoluzione di sistemi sociali sempre più complessi e organizzati, dal puro suono nasce la Parola, espressione profonda dell’evoluzione dei suoi portatori. Le Storie si trasformano non più in cronache e descrizioni, ma in simboli che evocano e richiamano l’esperienza del reale, capaci in qualche modo di ricreare la realtà stessa. Pur distaccandosi dal puro suono a favore di un approccio più descrittivo, il linguaggio non fa che aumentarne il potere: fa sì che nasca e si organizzi il pensiero, e con esso la capacità dell’uomo di astrarsi, letteralmente “farsi vicino alle stelle“, agli Dei. Con la Parola l’uomo rende se stesso simile al Creatore, partecipando alla sua coscienza. 
Dal suono ancestrale delle caverne, in cui molteplici significati restavano ad aleggiare come fantasmi, dallo spazio sacro in cui nacquero le pitture rupestri e le voci degli sciamani, l’uomo va verso gli spazi della civiltà e della razionalità, portando con sé un potere immenso ma indistinto che sa di poter districare e organizzare, e con la Parola completa la triade che dà vita agli Incantesimi, alla Legge, al Pensiero.

Immaginate i nostri antenati, come le api che tornano all’arnia, tornare da una battuta di caccia e reincarnare in corpo e suono il proprio viaggio e le peripezie incontrate nel frattempo ai propri compagni e compagne, alla luce di un fuoco notturno.
Intorno a quel fuoco si susseguono i canti di innumerevoli vite, ognuna alla scoperta della propria voce e del battito del proprio cuore, e lentamente imparano a raccontare, a trasformare le nubi della Memoria in storie che la riportano continuamente in vita, fino a creare essi stessi nuovi mondi e nuove realtà.

È questo il senso dell’antica arte del racconto, diffusa in tutto il mondo come attività sacra, di tradizione e cambiamento. In tutte le culture il narratore custodisce la memoria della tribù, e ne evoca i mostri, le sfide, gli eroi e le mete intorno al fuoco.
Nel non-luogo del “c’era una volta“, che evoca e ricrea il tempo della memoria e del sogno, riscopriamo noi stessi e il canto del nostro cuore, ci prendiamo cura del nostro destino e ci mettiamo al servizio della comunità.