La Forza dei Reni

Questa settimana abbiamo parlato del sistema renale in campo anatomofisiologico, proponendo esercizi di dinamizzazione e elasticizzazione corporea volti alla liberazione del contenitore fasciale e muscolare dei due organi.
Oggi vogliamo proseguire la trattazione con una lettura più profonda, quella integrata con il sistema energetico, che parte sempre, nella nostra ottica dalle corrispondenze con la fisiologia.

Come abbiamo anticipato, i reni sono forse gli organi più importanti per quanto riguarda la purificazione della componente liquida del corpo, anche se non sono gli unici: gli altri, già trattati nel corso di queste settimane, sono il fegato – che si occupa della componente chimico-energetica – e i polmoni – che si occupa della componente aerea. Insieme ad altri due organi, intestino e pelle (ebbene sì, la pelle è un organo!), formano il sistema degli emuntori, ovvero quel gruppo di organi che si occupa dell’eliminazione delle sostanze di rifiuto prodotte dal metabolismo.

Cosa ci dice questa funzione dei reni, rispetto alla loro valenza energetica?
Provate a rifletterci: al contrario dell’intestino, che elimina sostanze più solide, o del fegato, che purifica sostanze più grezze, i reni sono in altri termini implicati nel mantenimento della buona fluidità dei liquidi corporei, comprendendo anche il loro stato di tossicità. Essi sono a tutti gli effetti il filtro del corpo energetico, oltre che di quello fisico. Una cosa che succede spesso alla fine di un trattamento o di una consulenza, specialmente se molto profondi, è che alle persone venga il bisogno di fare pipì (vi è mai capitato?): se da una parte questa necessità è fisiologica – data dalla movimentazione dei liquidi di un buon massaggio, ad esempio – dall’altra parte è anche dovuta a una reazione del corpo eterico, la controparte energetica del corpo fisico, che “scarica” le sue tensioni soprattutto a livello del sistema urinario.
Ormai chi ci segue da tempo lo sa: la nostra visione tende a coprire più livelli dello stesso fenomeno, e vi invitiamo a osservare la stessa cosa. Scoprirete che il dialogo interno del vostro corpo è molto fervido, e ricco di protagonisti che si interfacciano tra loro.

La seconda e fondamentale funzione dei reni che vogliamo analizzare è quella che riguarda il sistema nervoso autonomo, specialmente per quanto riguarda le ghiandole surrenali. Esse sono lo stadio finale di una complessa catena di strutture anatomiche e di processi ormonali chiamati asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che si occupa della gestione delle risposte emozionali e fisiche agli stimoli stressogeni, modulando la produzione e la circolazione degli ormoni adrenalina e noradrenalina, responsabili di tutta quella serie di processi che vanno sotto il nome di “lotta o fuga”, ovvero l’attivazione generale del sistema che si prepara a reagire in modo dinamico.
I reni quindi, sono i custodi della nostra capacità di (re)agire all’interno dei fenomeni in cui viviamo, o in altre parole della nostra energia vitale. Nella Medicina Tradizionale Cinese, ad esempio, vengono chiamati “la radice della vita”, ad intendere proprio questa loro funzione arcaica e primordiale.
Se è vero che tutti e tre gli organi citati prima (intestino, fegato e polmone) sono implicati nella gestione emozionale (come d’altronde lo è tutto l’organismo), possiamo notare che l’intestino processa maggiormente le emozioni più “pesanti” (come l’ansia), il fegato quelle più “turbolente” (come la rabbia) e il polmone quelle più “inibenti” (come la tristezza): e i reni?
Come potete già immaginare, l’emozione negativa che maggiormente disturba questo sistema è la paura, ovvero quello stato di paralisi (o più propriamente di congelamento), che in natura serve agli animali a valutare la situazione e l’entità del pericolo a cui percepiscono di essere esposti. Se questa reazione viene rimodulata, infatti, può essere molto utile, ma se perdura nel tempo porta ad una sorta di paralisi totale del sistema nervoso, che impedisce l’azione ed espone a grossi rischi.

In effetti, cosa più della paura ci blocca nell’aprirci alla vita, alle possibilità che ci offre e alle occasioni che ci fa sperimentare?
Lo stato dei nostri reni ci dà modo di osservare e di valutare quale sia il nostro grado di irretimento nei confronti del mondo e della vita: più ci apriamo, più siamo in salute, più siamo anche in grado di filtrare (fisiologicamente ed energeticamente) ciò che passa nel nostro campo. Più ci lasciamo catturare e congelare dalla paura, meno siamo disponibili all’immensa quantità di energia che la vita ci mette a disposizione, a patto che cogliamo l’occasione e ci impegniamo nel lavoro che ci viene richiesto, a volte con il famoso “colpo di reni” (non è un caso che si dica così, avete notato?).
I reni, collegati al flusso dell’elemento acqua, sono a tutti gli effetti le porte d’accesso alla salute del nostro sistema eterico-energetico, e ci è possibile prendercene cura con gesti molto semplici: bere la giusta quantità d’acqua, ad esempio, è il più semplice, e se ci conoscete, sapete bene quanto insistiamo su questo punto.
Sapete che la quota minima giornaliera di acqua per una buona idratazione equivale – in centilitri – al peso corporeo moltiplicato per tre? Una persona di 70kg, ad esempio, dovrebbe assumere almeno 2,1 l d’acqua al giorno (210 cl). E questo dovrebbe essere il minimo!
Qualcuno sorriderà pensando a quante volte lo diciamo, ma ora può anche considerare quanto una buona idratazione sia fondamentale per la salute dei reni, e della loro buona fisiologia, che fa da base alla buona salute di tutto il sistema organico, sia in senso fisico che energetico.
A tutti gli effetti, una buona idratazione è il primo antidoto alle paure congelate nel corpo, e al dolore come loro manifestazione.

Vi lasciamo qui sotto gli esercizi della settimana, se qualcuno li avesse persi!

Alla prossima settimana,

Luca e Nicoletta

Vivere il Flusso

“Mentre ci illudiamo che le cose rimangano uguali, queste cambiano proprio sotto i nostri occhi, di anno in anno, di giorno in giorno”.
(Charlotte Perkins Gilman)

Da un punto di vista fisico, un fluido è un oggetto privo di una forma stabile, soggetto a cambiamenti di forma e all’adattabilità ad un contenitore, se costretto in uno spazio solido.
Per estensione, è definito fluido tutto ciò che è in grado di passare da una conformazione spaziotemporale ad un’altra con relativa facilità.

Il flusso, come azione di ciò che è fluido, è il processo attraverso cui un fenomeno (un fiore, una persona, un periodo di tempo, una roccia, un calzino, …) attraversa lo spazio e il tempo e in questi si modifica, con diverse velocità e dinamiche. La sua caratteristica è quella di non produrre attrito, o di produrne molto poco: come esseri umani, ci diciamo nel flusso quando riusciamo a passare attraverso cambiamenti di stato anche di grande entità con la minima resistenza possibile.

Diciamo di sentirci fluidi nel corpo quando sperimentiamo la sensazione di riuscire a compiere un movimento con facilità e il giusto grado di tensione, necessario a condurre in modo progressivo e consapevole il gesto, ma decisamente al di sotto della soglia della fatica e del dolore.
Un braccio può aiutarci a farne esperienza immediata: quale escursione riusciamo a coprire con il movimento, senza percepire eccessiva tensione? Essa, a prescindere dalla sua entità, è lo spazio che il nostro arto può raggiungere ed esplorare in modo fluido.
Se proviamo a testare le capacità di movimento del nostro braccio tutti i giorni, esse rimangono uguali, o cambiano in base al momento? Allenandoci a sentire il movimento fluido di una nostra parte, dopo quanto tempo essa raggiunge il suo massimo grado di libertà?
Allo stesso modo, possiamo testare e incoraggiare la fluidità del nostro respiro – cosa lo libera, cosa lo costringe? -, della nostra digestione – quali alimenti la rendono facile, quali la ostacolano? – e di tutte le attività del nostro corpo.

Quando ci rivolgiamo alla nostra dimensione emotiva, possiamo notare facilmente quali emozioni risultino fluide, osservabili ed esprimibili in modo libero e disteso, e quali al contrario siano caratterizzate da una certa densità, rigidità e difficoltà di caratterizzazione, catalogazione e verbalizzazione.
Come mammiferi, siamo profondamente inseriti in una dimensione emotiva che spesso neghiamo, immobilizziamo o tratteniamo a favore di una più apparentemente efficace razionalità: sollecitate dall’ambiente interno ed esterno, le emozioni sono una parte integrante della fisiologia umana, e un sano contatto con esse è caratterizzato da una capacità di osservarne il sorgere e il dissolversi, senza rimanere ancorati allo stato che esse ci inducono.
La prossima volta che proveremo un’emozione intensa, sia essa positiva o negativa, proviamo a fare questo esercizio di osservazione: dopo qualche tempo, i riverberi di quello stato sono ancora presenti? Rimaniamo ancorati alla grande gioia o alla grande rabbia che abbiamo provato dieci ore fa, anche se le condizioni che le hanno create si sono dissolte?
Se la risposta è sì, qualcosa in noi sta resistendo a un cambiamento che, in definitiva, è già avvenuto: siamo apparentemente usciti dal flusso, e possiamo ritornare ad esso nel momento in cui ci lasciamo scorrere di nuovo in ciò che è presente.

In psicologia, l’esperienza di flusso è stata descritta dall’ungherese Mihály Csíkszentmihályi, che lo ha identificata come uno stato di completo coinvolgimento dell’individuo, sul piano fisico, emotivo e mentale, in una certa attività, in uno stato che si situa tra la massima attivazione – senza sfociare nell’iperattivazione – e la massima distensione – senza divenire rilassamento passivo, o addirittura depressivo.
Il soggetto che si trovi in questo stato farà esperienza di una grande focalizzazione, a dispetto di una netta diminuzione del senso di sé (se non per quella parte di esso che è necessaria all’attività); di un’elasticizzazione o addirittura di un annullamento del senso del tempo; di uno stato di tensione ottimale (né troppa, né troppo poca); e, non da ultimo, di un piacere intrinseco all’attività stessa, che risulta naturale e, appunto fluida.
Non a caso, la definizione di questo stato è la stessa della trance e degli stati di massima concentrazione ascrivibili all’attività sportiva, alla danza, alla meditazione, alla musica, al sogno consapevole, e allo spazio del rito e della cerimonia, e a tutte quelle attività in cui l’esperienza umana è intrisa di una naturalità e di un senso di piacere che la rendono ottimale.
Ripensiamo all’ultima occasione in cui abbiamo vissuto un’esperienza simile davanti a un film, ascoltando una canzone, facendo attività fisica, leggendo un libro, o qualsiasi cosa ci dia piacere e agio: ci accorgeremo di riconoscere le caratteristiche del flusso, e soprattutto che esso è a portata di mano ogni giorno, in ogni istante.

Che sia del corpo, del cuore o della mente, la fluidità permette l’adattamento all’ambiente e alle nostre modifiche interne, ampliando ciò che possiamo fare per alimentarla: lavorare sul corpo in modo consapevole, alimentarci a sostegno del nostro sistema, esercitarci a pensare sempre almeno da un’altra prospettiva e confrontarci almeno con un’altra persona su un dubbio o un problema.
Scopriremo presto molti modi di ammorbidire quelle rigidità che solo poco prima ci sarebbero sembrate insormontabili.