Questa settimana abbiamo parlato delle caratteristiche anatomofisiologiche dell’intestino, e vi abbiamo accennato che la sua relazione con il cervello è particolarmente complessa e stratificata, tanto da essere in molti modi una relazione alla pari. Nel mondo scientifico questo è riconosciuto da alcuni anni, in cui lentamente il concetto si è fatto strada fino a diventare una vera e propria branca delle neuroscienze, ma questa connessione è conosciuta per via intuitiva e simbolica da migliaia di anni in Medicina Tradizionale.
L’intestino digerisce, oltre al cibo, anche le emozioni e i pensieri che si muovono nel nostro corpo, e quando non riesce a digerirli crea tossine, che a loro volta danneggiano, in modo più o meno importante, gli organi e l’intestino stesso.
È intuitivo riconoscere come i pensieri ricorrenti, ma anche l’ansia, la depressione, lo stress, la paura, l’agitazione e il nervosismo possano generare disturbi intestinali di vario genere, come dissenteria, crampi, mal di pancia, stipsi. È vero anche il contrario: disturbi dell’apparato intestinale possono creare tensione, ansia, stress, fino anche ad attacchi di panico.
In questo senso, la fisiologia ormonale ci spiega il perché: la serotonina, che è un neurotrasmettitore, comunemente chiamato “ormone del buonumore”, e i cui precursori sono i triptofani, è prodotta per il 95% di tutta la quantità corporea dalle cellule enterocromaffini dell’intestino (il restante 5% è prodotta nei neuroni serotoninergici cerebrali). Come potete immaginare la serotonina agisce anche, ed intensamente, sulle funzioni intestinali: è implicata infatti nella fitta rete di azioni e reazioni tra sistema nervoso ed intestino. Per fare un esempio, livelli troppo bassi portano stitichezza, livelli troppo alti diarrea.
Se vogliamo semplificare: laddove rinunciamo alla gioia, immergendoci nelle ombre della vita e delle difficoltà, l’intestino inizia a manifestare problemi di diversa natura.
Esso diventa così, secondo una visione psicosomatica, il purgatorio della mente, l’organo in cui si cerca di eliminare in fretta pensieri disturbanti, emozioni troppo intense, rabbia, frustrazioni, fantasie sessuali inaccettabili, violenza, paura, pensieri troppo sporchi, in pratica la nostra Ombra, che non riusciamo ad accettare e tollerare razionalmente, delegandoli al lavoro e alla fatica del corpo.
La nostra mente bassa, l’intestino, si fa carico di esprimere ed allontanare ciò che la nostra mente alta, il cervello, non riesce ad accettare e di cui non può farsi carico, un troppo che non riesce a gestire. Cercheremo allora inconsciamente di nascondere questi pensieri e queste emozioni seppellendoli nell’intestino. Quando il non digerito diventa troppo ingombrante, il nostro secondo cervello inizia a manifestare spasmi, dolori e disagio, che ci parlano della dolorosa lotta intestina, per l’appunto, tra il procedere in avanti ed il tornare indietro, tra lasciare andare e trattenere, tra dentro e fuori.
Queste coppie di forze contrapposte ci raccontano di persone in cui l’espresso e l’inespresso si fronteggiano, e l’aggressività viene rivolta a sé, attraverso il forte dolore provocato dai crampi intestinali.
Attraverso l’esperienza corporea arriviamo a comprendere ed accettare che in noi vivono sentimenti opposti. Diventare consapevoli che esiste un nostro lato ombra, senza necessità di colpevolizzarsi e punirsi, diventa allora un percorso di liberazione e di agevolezza.
Attraverso l’intestino, grazie ai suoi sette metri di implacabile discriminazione, abbiamo la possibilità di riconoscere minuziosamente tutto ciò con cui siamo venuti a contatto, e di separare il nutrimento da ciò che non lo è. Se riflettiamo bene, questa è la stessa attività svolta dal cervello, ad un altro livello: attraverso di esso discriminiamo cosa ci è stato utile e cosa no.
L’intestino, secondo questa chiave di lettura, diventa allora il luogo in cui più di ogni altro elaboriamo i nostri vissuti in termini fisici, con un linguaggio che parla attraverso tensione ed elasticità, dolore e agio, stasi e movimento, e che possiamo imparare a riconoscere e a leggere per conoscerci ogni volta un po’ di più.
Come sta il nostro intestino, se accettiamo di vivere diversamente le nostre emozioni?
Come si comporta se iniziamo a riconoscere i nostri sentimenti negativi?
Abbiamo ancora quei fastidiosi crampi alla pancia, se ammettiamo a noi stessi di essere costantemente a disagio, arrabbiati o confusi?
E, ancora, siamo poi così confusi, se iniziamo ad ascoltare i segnali che ci dà, e a vivere un po’ più “di pancia”?
Siamo sicuri che, dopo aver letto queste poche righe, avrete molto su cui riflettere, o ancora meglio, da digerire: leggere se stessi attraverso il linguaggio degli organi e dei loro significati può sembrare piuttosto difficile, ma in realtà è molto più semplice di quello che appare. Basta ricominciare a sintonizzarsi con le parole della Natura, come fanno i bambini e gli animali, e improvvisamente la nostra mente potrà accedere a una visione più chiara.
Vi invitiamo a provare, e vi aspettiamo lunedì sui social per il prossimo organo!
Luca e Nicoletta
Tag: consapevolezza
Stomaco e digestione
Quando parliamo dello stomaco, dobbiamo necessariamente considerare la sua funzione principale, quella di trasformare i cibi da sostanze complesse a semplici, per renderle disponibili all’assorbimento e all’utilizzo nei processi metabolici.
Abbiamo parlato delle caratteristiche anatomiche e fisiologiche dello stomaco e del sistema digerente nei post sui social (facebook e instagram) di questa settimana, ma vorremmo oggi concentrarci su una sfumatura differente.
La più interessante caratteristica della prima parte del sistema digerente (bocca, esofago, stomaco), come già accennavamo, è quella di poter utilizzare in modo controllato un grande potere distruttivo, quello degli acidi, per garantire la vita al sistema organico a cui appartiene. Lo squilibrio di questa capacità di controllo può derivare in un danno anche molto grande (si pensi alle patologie degenerative del tratto digerente come l’ulcera, data dagli acidi gastrici che erodono le pareti mucose dello stomaco), e lo stomaco è a tutti gli effetti un grande calderone in continuo bollore, immagine molto efficace ed evocativa che deriva dalla Medicina Tradizionale Cinese: l’acqua che bolle (metafora degli acidi gastrici) può essere di grande aiuto nel rendere disponibili e maggiormente edibili molti cibi, ma se usata male o addirittura fatta fuoriuscire scorrettamente dal suo contenitore può essere estremamente pericolosa, persino letale.
Lo stomaco è anche la sede, in termini simbolici e metaforici, della nostra facoltà di elaborare i nostri vissuti, fisici, emotivi e mentali. A livello esofageo e gastrico il corpo energetico veicola e trasforma le informazioni che provengono dall’esterno o dal nostro vissuto, e le rende disponibili (quando possibile) per il resto del corpo.
Avete mai notato quanti sintomi a livello dello stomaco sono correlati a ciò che proviamo, o alle nostre reazioni agli eventi? Dalla proverbiale gastrite da stress alle sensazioni di peso epigastrico, il nostro corpo si serve di una vasta gamma di segnali per farci notare che qualcosa non è stato propriamente trasformato, o è rimasto indigesto a uno dei nostri corpi.
In questo senso, il cibo, e la nostra reazione ad esso, è una grande cartina al tornasole: non è solo cosa mangiamo a determinare lo stato di benessere o malessere che proviamo in risposta ad un cibo, ma spesso è anche il come, e la valenza di quel cibo per il nostro sistema.
La saggezza e la finezza della natura hanno dotato i sistemi biologici (e in una certa misura anche gli essere inorganici) di una grande peculiarità, ovvero quella di potersi sostentare attraverso la nutrizione, il processo di immissione all’interno del proprio corpo di parti di un altro essere vivente, che vengono degradate in modo da ricavarne elementi utili al proprio metabolismo e alla propria vita sistemica e cellulare.
Non ci pensiamo mai molto volentieri, ma a tutti gli effetti, per vivere, ogni essere vivente deve cibarsi di altri esseri viventi, in diversi gradi di complessità e di livello di coscienza. Questo significa che il cibo è informazione, oltre che energia fisica e chimica: tutto ciò di cui ci nutriamo porta con sé la storia e la vita di cui ha fatto parte, che entra a sua volta a far parte della nostra, e anche l’informazione generale della categoria a cui è appartenuto.
Al di là delle scelte alimentari ed etiche di ognuno di noi, così come consideriamo le calorie di un certo cibo, o la sua provenienza, o la modalità con cui è stato prodotto (allevamento/coltivazione, trasformazione, trasporto, eccetera), quando ci apprestiamo a mangiare dovremmo soprattutto porci una domanda: “Quale energia mi porta questo cibo?“.
Ci sono diversi sistemi di corrispondenza tra i cibi e particolari caratteristiche emozionali o simboliche, ma in genere la lettura è piuttosto simile: per fare un esempio molto conosciuto, il latte e i suoi derivati sono di solito associati al sostentamento primario, alla nutrizione del neonato, e quindi al rapporto con la sfera materna (non necessariamente la madre in persona, notate la differenza).
Alcuni cibi sono poi maggiormente collegati a una sollecitazione emozionale: avete mai notato quanto lo zucchero apparentemente sedi il sistema nervoso, ma in realtà lo renda profondamente irritabile? Oppure avete mai notato che gli stessi cibi che appesantiscono il sistema epatico (come la troppa carne) siano anche quelli che ci rendono più aggressivi?
Non è nostra intenzione fare oggi un elenco di queste corrispondenze, perché vogliamo invece sottolineare un concetto fondamentale: per quanto i sistemi di riferimento ci aiutino a orientarci e a dare una direzione alla nostra lettura, è sempre fondamentale riportare tutto al sistema della singola persona. Ad esempio, la lettura qui sopra potrebbe essere valida così com’è per una persona, mentre per un’altra potrebbe servire scoprirne una diversa sfumatura, o ancora per una terza non valere affatto.
Per inciso, è proprio per questo motivo che si dovrebbe includere la considerazione di queste caratteristiche nella pianificazione di una dieta.
Vi invitiamo a scoprire quale energia vi portano i cibi attraverso l’esperienza diretta, poiché ognuno di noi ha un sistema proprio e risponde in modo diverso alle informazioni che il cibo porta con sé, rielaborandole secondo i propri riferimenti e le proprie libertà e difficoltà emotive ed energetiche.
Provateci, e raccontateci la vostra esperienza.
Buon cibo consapevole a tutti!
La Danza del Cuore
Il collegamento tra malattie fisiche e vita emotiva (il “regno” del cuore) è conosciuto da sempre, basti pensare che le prime formulazioni sul rapporto mente-corpo sono state poste in modo sistematico a partire da Platone, ed è proprio questo approfondimento che ogni venerdì cerchiamo di esplorare meglio.
Spesso, quando si tratta della percezione del corpo, il miglior modo per scoprire questo legame è osservare i modi di dire che esistono su un determinato organo.
Ad esempio, in tutte le culture, il cuore rappresenta il centro dell’affettività, e nel linguaggio comune utilizziamo spesso questa metafora. “Grazie di cuore”, “ho il cuore pieno di gioia”, “ti amo con tutto il cuore”, “ho sentito una stretta al cuore”, “mi hai spezzato il cuore”, “ho il cuore in gola”: sono solo alcune delle espressioni che associamo al grande Direttore d’Orchestra del nostro corpo.
Tutte queste espressioni rivelano il simbolismo emotivo racchiuso in quest’organo, e nella motilità cardiaca: ad essi vengono associati sia concetti positivi, legati all’amore, all’amicizia, alla bontà, sia concetti negativi, legati al dolore, alla separazione, alla tristezza.
Il legame tra separazioni e cuore coinvolge strettamente il sistema ormonale e la risposta agli stimoli di stress: abbandoni e separazioni provocano emozioni intense come dolore, preoccupazione, angoscia, tristezza, sensi di colpa, vergogna.
La difesa conseguente che si sviluppa in risposta a tali emozioni, come l’immobilità o la disperazione, nasce dal sistema nervoso autonomo e reinforma tutto l’organismo, e di conseguenza quello ormonale e immunitario.
Ad esempio in diversi studi è stata riscontrata una connessione tra infarto e rottura di relazioni. L’associazione, in alcuni casi, si è evidenziata anche in rapporto all’anniversario della rottura; esiste addirittura la “sindrome dal cuore infranto” (sindrome di Takotsubo) che è una patologia che si manifesta con una disfunzione del ventricolo sinistro come conseguenza a un evento di vita emotivamente stressante e doloroso.
Così, espressioni come “mi hai spezzato il cuore“, non costituiscono solo la metafora di un dolore, ma la reale conseguenza di una forte sofferenza psichica legata alla separazione.
Il dolore vissuto porta a conseguenze fisiche che condizionano negativamente le funzioni vegetative ed endocrine tanto da provocare vere e proprie lesioni organiche.
Inversamente però, anche la guarigione risulta essere collegata a una dimensione relazionale: alcuni casi di regressione spontanea da malattie sono apparsi associati a miglioramenti nelle relazioni interpersonali.
Ma, in definitiva, in che modo si possono ottenere queste condizioni apparentemente miracolose (e che a volte non sono propriamente spiegabili)?
Vi sarete sicuramente imbattuti nell’etimologia della parola “coraggio”, che si parafrasa normalmente in “agire con il cuore”, o “azione del cuore”, e per quanto sia molto affascinante immaginiamo che voi abbiate avuto una certa difficoltà e descrivere quale sia quell’azione.
Spesso tentiamo di costruire risposte molto complesse a domande apparentemente difficili, ma in realtà quelle più giuste sono molto semplici.
Ricordate, come abbiamo scritto questa settimana, che il Cuore è considerato, nelle medicine tradizionali di tutto il mondo, l’organo più importante, governatore di tutto il corpo?
Ebbene, questa sua funzione non è solo una metafora di sicuro effetto, ma è una profonda verità.
Senza paura di esagerare, possiamo dire che il ritmo cardiaco, proseguito in modo pressoché identico dal passaggio dell’onda pressoria all’interno dei vasi (soprattutto delle arterie) costituisce uno dei ritmi fondamentali dell’esistenza di tutto l’organismo, e che sintonizzarsi e sincronizzarsi su di esso è una potente fonte di benessere e salute, alla portata di ognuno di noi.
Il battito cardiaco è infatti un vero e proprio metronomo per le funzioni di tutto il corpo. È risaputo che una buona vascolarizzazione (in entrata e in uscita) costituisce il presupposto per una buona fisiologia cellulare, tissutale e sistemica, ma è poco considerato che la buona irrorazione dei tessuti è determinata dalla libertà dell’onda pressoria esercitata dal cuore e dai vasi sanguigni di raggiungere anche la cellula più lontana. In altre parole, il cuore deve esercitare costantemente una forza dinamica sufficiente a garantire questo flusso, comportandosi da fonte del movimento intrinseco di tutti gli altri organi e tessuti.
Questo si specchia nel fatto che il cuore è un organo straordinariamente autonomo e versatile, che in linea teorica può continuare a funzionare nelle situazioni più avverse, anche nel limite della mancanza di controllo da parte del sistema nervoso, che genera anche campi di risonanza elettromagnetica per tutto il resto del corpo, armonizzando il sistema al maggiore stato di equilibrio possibile momento dopo momento.
L’ascolto del proprio battito cardiaco, proposto nel video di questa settimana, come atto di biofeedback molto immediato e di semplice esecuzione, è carico di grandi benefici, primo fra tutti il garantire spazio e tempo per questa possibilità “bilanciatrice” dell’attività cardiaca.
Mettendosi in connessione con il battito del cuore, ognuno di noi ritorna alla fonte stessa della vita, e riscopre le abilità di regolazione e di modulazione che gli corrispondono.
Vi invitiamo a praticare questo semplice esercizio per un certo periodo: potreste notare benefici inaspettati sulla salute psicofisica e sul vostro modo di percepire e vivere il mondo.
Raccontateci la vostra esperienza nei commenti.
Buon weekend
Luca e Nicoletta
Il potere del fegato
Eccoci giunti alla fine della settimana, con una considerazione: avrete certamente notato che, praticando costantemente gli esercizi che vi proponiamo, viene stimolata anche la vostra consapevolezza, sia durante la pratica che durante la giornata. Con il tempo, diventate sempre più coscienti del fatto che mentre vivete e fate “le vostre cose”, al vostro interno accadono (e sono osservabili) tutte quelle funzioni che stanno alla base della vita stessa.
Diventare consapevoli di questo è come diventare coscienti di essere i capi di un’azienda che grazie ai suoi meccanismi procede in autonomia, ma il presenziare ad alcuni processi vi rende consapevoli della situazione generale, di cosa veramente accade e di ciò che si può migliorare, invece di non fare nulla e usufruire soltanto del guadagno finale.
Vi auguriamo di fare sempre più spesso questa esperienza, per prendervi cura di voi stessi in modo sempre più efficace.
Andiamo ora ad analizzare meglio l’argomento della settimana, ovvero il sistema epatico.
Dal punto di vista anatomico, il fegato è un organo veramente vasto, con una forma che ricorda vagamente un triangolo/piramide allungato verso sinistra con la base più voluminosa a destra. È situato in gran parte nella parte alta a destra dell’addome, con una parte meno voluminosa che si sposta verso la porzione superiore sinistra, e si posiziona subito al di sotto del diaframma. Il suo alloggiamento è localizzato appunto tra il diaframma, il colon trasverso e lo stomaco.
Rispetto al resto del corpo, il fegato ha una quantità significativa di sangue che scorre al suo interno: si stima che il 13% del sangue del corpo sia, in ogni istante, transiti all’interno del suo sistema vascolare di depurazione (pensateci…è veramente tanto!).
Come vi abbiamo già accennato, quest’organo riveste un ruolo fondamentale sia sul piano funzionale che energetico.
Sul piano fisiologico, il suo ruolo è quello di depurazione del sangue, di produzione e immagazzinamento di glicogeno (la forma di immagazzinamento del glucosio), trigliceridi e colesterolo, di produzione della bile (l’emulsionante dei grassi a livello intestinale), di immagazzinamento di ferro, rame e vitamina B12 – necessari al metabolismo cellulare – e di filtrazione ed eliminazione delle tossine derivanti da agenti chimici provenienti dall’esterno (come i farmaci).
Sul piano psicosomatico, il fegato è l’organo preposto, nella sua funzione purificata e sana, al discernimento, inteso come capacità di valutare tutto quello che ci accade per separare e dividere ciò che ci è tossico da ciò che invece ci fa bene: in sostanza pianifica, progetta, decide, sceglie e agisce.
Nella lettura psicosomatica il fegato inizia ad essere in sovraccarico, quindi a dare segni disfunzionali, quando perdiamo la capacità di discernere e arriviamo ad una intossicazione. Ad esempio un eccesso, non soltanto di cibo ma anche (e soprattutto) emotivo, può sovraccaricarlo, ed è per questo che spesso necessita di disintossicazioni effettuate periodicamente, soprattutto nei cambi di stagione.
Invece, quando siamo nel flusso, ci adattiamo facilmente ai cambiamenti e siamo in grado naturalmente di lasciar andare tutto ciò che “ci appesantisce”. In questo modo il fegato è in equilibrio.
Nel sistema energetico dei 7 Chakra (argomento che tratteremo in dettaglio più avanti), o centri energetici principali, i disturbi del fegato, in base alla localizzazione, sono connessi ad un disequilibrio del terzo Chakra (Manipura), che è, a sua volta correlato, a:
– autostima
– attività mentale
– potere personale
– controllo sulla propria vita e su quella degli altri
– capacità di realizzarsi ed essere pienamente se stessi.
L’emozione fondamentale correlata al terzo Chakra è la rabbia. I disturbi del fegato, infatti, in linea generale, sono correlati ad una difficoltà nel metabolizzare la rabbia, intesa sia come scoppio d’ira, sia come emozione trattenuta e inespressa, che può nascere, ad esempio, dal fatto di non essere in sintonia con la propria natura, dalla difficoltà nel manifestare il proprio potenziale, o anche da un rifiuto rabbioso ad adattarsi al flusso della vita. In questo caso, l’intervento della cistifellea è fondamentale: sul piano energetico, infatti, essa è la custode delle emozioni rimaste inespresse per molto tempo, e il suo veleno più grande è il rancore.
Mano a mano mano che proponiamo diversi esercizi, raccomandiamo di prestare attenzione agli aspetti emotivi ed energetici in generale, non si può lavorare sul corpo senza far arrivare un impulso concorde al corpo emotivo.
Imparare ad osservare questi aspetti porta a comprendere meglio come si manifestano e a cosa sono correlati per giungere ad una migliore conoscenza e cura di noi stessi.
Infine, non dimenticate di osservare i cambiamenti dell’attività onirica, ovvero i vostri sogni. Quando si liberano tensioni nel corpo scendendo in profondità come nel lavoro sugli organi, può accadere che in sogno riceviamo messaggi, relativi sia allo scioglimento della situazione interessata o a una nuova visione o strada da intraprendere.
Come sempre, siamo a disposizione per guidarvi e, dove possibile, farvi luce: voi continuate a praticare!
Un abbraccio
Luca e Nicoletta
Respira, sei vivo!
Da quando abbiamo iniziato a scrivere sui social e qui sul blog, ci avete sentito spesso parlare dell’importanza della respirazione, di come essa sia la base della vita e di come sia utile per tornare a sentirci pienamente qui e ora anche durante le attività della vita quotidiana e le pratiche di benessere (alla fine di questo articolo vi mettiamo il collegamento a due vecchi articoli).
Oggi vogliamo parlarvi delle relazioni che il respiro ha con il resto del corpo e di come il semplice osservarlo serva a ristabilire la giusta calma per proseguire quando, ad esempio, veniamo assaliti dall’ansia.
Partiamo da qui, da una pratica: provate a mettervi comodi nella posizione in cui siete, sia che siate seduti o in piedi, cercando di stare eretti con la schiena; ora chiudete gli occhi e portate attenzione all’aria fresca che entra dalla punta del naso e all’aria calda che esce.
Prendetevi il tempo di fare qualche atto di seguito, poi riprendete la lettura.
A cosa avete pensato durante l’esercizio? Dov’era la vostra mente, e dove eravate voi? Quasi certamente eravate in buona parte lì, facendo l’esercizio e nient’altro. Questo è quello che accade ogni volta che portate attenzione a voi attraverso il respiro. Interessante, vero?
In definitiva, è molto semplice ritornare a se stessi e allontanare lo stato di oppressione che spesso ci assale. C’è solo un ostacolo: ricordarsi di farlo. In questo non possiamo aiutarvi molto, ma possiamo stimolarvi a farlo raccontandovi quante cose trovano giovamento da una buona respirazione.
Partiamo innanzitutto con qualche considerazione sulla forma e le funzioni del diaframma. Esso ha una struttura prettamente orizzontale, e non è il solo nel corpo ad avere questo orientamento: insieme ad altre strutture (tentorio del cervelletto, pavimento buccale, orifizio toracico superiore, e pavimento pelvico sono le principali), è parte del sistema dei diaframmi, che contribuisce al bilanciamento delle pressioni corporee. Soprattutto, regola le pressioni in cavità toracica e addominale. Va da sé che ogni volta che viviamo un disagio che riguarda la pressione, dal mal di testa alle difficoltà di andare in bagno, la respirazione è in qualche modo coinvolta, e ci può venire in aiuto nella modulazione se non addirittura nella risoluzione dei sintomi.
Il diaframma, separando due cavità (toracica e addominale), è dotato di orifizi e passaggi per molte strutture: i vasi sanguigni, che dal cuore partono e al cuore devono tornare, tra cui aorta e vena cava, forse i due vasi più importanti in tutto il corpo; i nervi, tra cui spicca il nervo vago, X paio di Nervi Cranici, che origina a livello del midollo allungato, all’interno del cranio, e prima di passare il diaframma si fonde tra vago di destra e di sinistra per proseguire nell’addome; infine, non dimentichiamo l’esofago, che parte da dietro la bocca e raggiunge lo stomaco al di sotto del diaframma.
Nella sua parte superiore, il diaframma offre appoggio al cuore e al suo sacco di contenimento (il pericardio), e ancoraggio e sostegno al polmone e al suo involucro (la pleura). Al di sotto, oltre allo stomaco, anche fegato, milza, duodeno, pancreas e reni sono saldamente connessi a questo muscolo tramite tessuto connettivale (legamento coronario del fegato, legamento frenocolico, legamento di Treitz, capsula pancreatica, piccolo omento e fascia renale).
Dedicare tempo alla respirazione diaframmatica significa migliorare anche la mobilità di questi elementi, e di conseguenza le loro funzioni: il passaggio di cibo, l’innervazione degli organi, l’ossigenazione dei tessuti, la corretta successione delle fasi digestive, la circolazione, e così via.
C’è anche un altro interessante punto di vista da cui guardare al respiro: quello della relazione con il vissuto emozionale. Quando parliamo di modulazione delle emozioni attraverso il respiro non ci riferiamo solamente alla percezione “sottile” di una sensazione interna che diventa più fluida o meno intensa, ma alla vera e propria azione meccanica che il diaframma ha sugli organi, provocando una sorta di massaggio che armonizza e regolarizza l’attività dell’addome, sede principale della sensazione e percezione delle emozioni, almeno nella loro forma più grezza. Vedremo più avanti, parlando dei singoli organi, che diverse tradizioni attribuiscono ad ognuno di essi emozioni specifiche (spesso con corrispondenze esatte).
Possiamo parlare di azione meccanica perché gli organi prendono proprio contatto con il diaframma, e di conseguenza al movimento di uno corrisponde il movimento dell’altro. Tutti loro e le loro funzioni sono correlate alla respirazione.
Possiamo estendere ancora di più il tema: seppure la respirazione sia l’ultima funzione che il feto arriva ad espletare (cominciamo a respirare dopo il parto, ricordate?), è tra le due necessarie al sostentamento di base della vita (l’altra è quella cardiaca).
Deputata primariamente allo scambio gassoso tra ossigeno e anidride carbonica, la respirazione ha l’essenziale funzione di fornire al circolo sanguigno la materia chimica di base con cui le cellule espleteranno le loro funzioni metaboliche, e di eliminare i prodotti di scarto delle stesse.
Ne consegue che tutti i tessuti beneficiano di una buona pratica di repirazione, che miri ad elasticizzare e a rendere fluido e armonioso tutto il corpo. Si parla, in molti casi, di esercizi molto semplici con effetti diretti e sorprendenti su disturbi clinici di varia natura, da quelli ormonali, a quelli muscolo-articolari, perfino a quelli psichici.
Questo avviene per via delle connessioni profondissime del respiro (soprattutto del respiro consapevole) sul cervello: le dirette connessioni tra le vie aeree, attraverso l’osso etmoide, con il pavimento della fossa anteriore del cranio, con il sistema limbico, il midollo allungato e il cervelletto, fanno sì che il respiro, così come ne è influenzato, possa intervenire sulla regolazione degli stati eccitatori o depressivi tipici degli squilibri emozionali su base chimico-ormonale o comportamentale, riportando il sistema nervoso autonomo (e per conseguenza anche quello volontario) ad uno stato di calma e disponibilità.
In sintesi, questa è la base dell’uso del respiro in tutte le pratiche di consapevolezza sparse nel mondo: se il battito del cuore attiva e sostiene, il respiro è il vento che soffia sulle acque, le calma o le smuove a seconda della necessità. Tramite l’inserimento della coscienza nel processo, portiamo tutta la nostra attenzione all’attività più basilare, naturale e vitale che possiamo conoscere. Come recita un famoso motto del Maestro Zen Thich Nhat Hanh: “Respira, sei vivo!” (è anche il titolo di uno dei suoi libri più belli, che vi consigliamo).
Allora, cosa ne dite? Se non siete abituati a questa pratica, vi va di provare?
Un buon inizio, per tutti quelli che non potranno provare esercizi più complessi, ma soprattutto per chi ha poco tempo, è quello, durante la prossima volta in cui vi troverete in un momento di attesa, di sfruttare il tempo della pausa per qualche respiro consapevole, portando semplicemente attenzione alle azioni che il vostro corpo già sta compiendo in autonomia.
Questo semplice gesto (potete ripetervi mentalmente la frase: “inspirando, so che sto inspirando, espirando, so che sto espirando”) porterà immediata calma e molta più disponibilità energetica.
Se invece preferite sfruttare le pause per un’altra lettura sull’argomento, qui sotto vi lasciamo altri articoli in cui abbiamo parlato dell’importanza del respiro.
Vi ricordiamo che molte delle nostre attività si basano sul respiro e ne sfruttano il grande potere per suggerire nuove vie verso la Salute: se volete fare pratica con noi, non vi resta che contattarci.
Buona respirazione a tutti!
Luca e Nicoletta
La Medicina del Silenzio
di Luca Cascone
” Ti chiederanno: ‘Cos’è il silenzio?’. Tu rispondi: ‘È la pietra di fondazione del Tempio della Saggezza’. ”
Pitagora
Vi siete mai accorti di quanto il nostro tempo tema il silenzio?
Viviamo in un contesto storico, sociale e culturale mai visto prima nella storia dell’Uomo: abbiamo sempre a disposizione una fonte di copertura sonora per le nostre vite, che mima e incarna sempre più efficientemente il chiacchiericcio continuo della mente.
Girando per strada, vi sarete sicuramente accorti della massiccia e sempre più frequente presenza di cuffie più o meno voluminose che trasmettono musica in continuazione; entrando nei negozi, è d’uso comune ritrovarsi in un ambiente in cui aleggia (più o meno intensamente) musica di varia natura, di solito non scelta ad hoc; negli uffici, in molti accompagnano il proprio lavoro con la radio, o più recentemente con le playlist musicali trovate online; in macchina, sui mezzi, nei luoghi pubblici in certe occasioni (come in questo periodo natalizio) ci ritroviamo immersi in un paesaggio sonoro continuamente saturato.
Non è solo questione di musica, in effetti: la stessa saturazione sonora è data dal rumore di fondo di moltissimi contesti più o meno urbanizzati: nelle città o nei centri di media grandezza, è rarissimo trovarsi in una condizione di silenzio, o per così dire il silenzio è determinato dalla minor soglia di rumore possibile, che è comunque molto alta rispetto alla normalità a cui siamo stati abituati nella storia.
Anche se l’Uomo incrementa il suo livello di rumore a livello naturale, e la Natura stessa ha i suoi picchi di rumorosità (si pensi a certi suoni di animali, o anche all’immane potenza sonora di certi eventi naturali, come il fulmine), l’attuale continuità del rumore causato dall’Uomo e dalla società industrializzata sta diventando un problema importante, disturbando il comportamento di molte specie animali – un caso molto famoso è quello dei grandi cetacei, spesso disorientati dall’inquinamento acustico ed elettromagnetico – ma anche la salute stessa degli esseri umani: si ritiene che lo stress acustico sia una concausa molto frequente di diversi disturbi, dalla stanchezza cronica, alla difficoltà di concentrazione, a turbe neurovegetative più serie – come i disturbi del sonno -, fino a patologie anche molto gravi, come certe presentazioni del diabete o malattie cardiovascolari anche letali.
Il rumore della nostra mente mai sazia di informazioni e di stimoli, che fino a pochi decenni fa era solo un flusso di pensieri non sempre materializzato, è diventato a tutti gli effetti completamente fisico, e avvolge e permea ogni momento della nostra vita: dalla musica di cui sopra, alla televisione “accesa per farci compagnia“, ai rumori del traffico, a quelli dei trasporti.
Un’esperienza molto comune durante il lockdown dell’inizio del 2020 è stata proprio quella di riscoprire il silenzio (o almeno qualcosa di molto vicino ad esso): per darvi una stima, considerate che secondo alcuni studi il rumore di fondo nelle città industrializzate si ridusse anche del 50%, incidendo positivamente anche su diversi disturbi clinici legati all’inquinamento acustico.
Come esseri umani (e soprattutto animali) abbiamo un vitale bisogno di silenzio.
Non è per questo che abbiamo cominciato a pregare, o a meditare, o a ricavare spazi nelle comunità crescenti e sempre più complesse per prendere una pausa e ascoltare profondamente dentro e intorno a noi?
Il periodo natalizio ne è una prova tangibile (e spesso non in positivo): almeno nell’emisfero boreale, stagionalmente parlando, questo è un periodo di riposo e di introspezione per tutta la Natura. Gli animali si acquietano, molti vanno perfino in letargo; le piante rallentano il loro metabolismo; la Terra stessa, secondo le antiche tradizioni, dorme in attesa di risvegliarsi.
Il periodo natalizio nasce proprio per celebrare questo momento, nel clima successivo alla ricchezza autunnale e al progressivo addormentamento, celebrando con gioia la promessa del Solstizio d’Inverno: la nascita di un nuovo calore, e di nuova energia vitale, che però rimane ancora lontana, mentre il buio è al massimo della sua estensione.
È (o dovrebbe essere) un periodo di raccoglimento, di intimità e di silenziosa osservazione.
Cosa ci spinge a trasformare tutto questo in un caos rumoroso e cacofonico?
Forse temiamo il Silenzio.
Nel silenzio è difficile ammantarsi di un chiacchiericcio rassicurante, ed è molto complesso continuare a cercare stimoli esterni. È anche molto difficile ascoltare il proprio corpo, nel silenzio: è molto meglio muoversi sull’onda di uno stimolo esterno, soprattutto se acustico. Avete mai provato la sgradevole sensazione (per la mente, ovviamente) di danzare senza una musica ad accompagnarvi?
Il silenzio ci costringe ad avere a che fare con noi stessi, così come siamo, senza alcun intermediario.
Certo, ovviamente aveva ragione il Maestro Pitagora: senza questa premessa, nessuna Saggezza può essere davvero raggiunta. Ma, forse, non aveva considerato che il coraggio di stare è qualcosa che molti di noi fanno fatica ad alimentare, e che anche i più saggi a volte perdono.
Senza pretese di diventare grandi Saggi, proviamo a concedere a noi stessi alcuni momenti di silenzio al giorno: al risveglio, prima di dormire, in un momento di tranquillità o prima di parlare, prendiamo brevi attimi di pausa dal continuo e indiscriminato fare, e proviamo a goderne.
Si dice che a Natale si sia tutti più buoni: proviamo a essere più silenziosi, e scopriamo se questo ci conduce a uno stato di maggiore disponibilità, benessere e apertura.
La Medicina del Silenzio è antica quanto la prima Alba e la prima Neve: diamole lo spazio che si merita, e lei ci porterà Doni inaspettati.
Essere nel corpo, non del corpo
Di Luca Cascone
Ci sono molti modi per avere a che fare con il corpo umano, e molti di questi modi nel nostro mondo lo osservano come una sorta di alieno, o di macchina eccezionalmente complicata, da scoprire, smontare, oliare ed aggiustare.
Questo approccio, che è proprio della nostra società in modo quasi maniacale, arriva ad essere confuso con una buona conoscenza della macchina, o ancora di più con una sorta di riverenza verso di essa.
In realtà, non c’è niente di più lontano dalla verità.
In una realtà sociale e storica come quella in cui viviamo, dominata dal pensiero occidentale “traviato”, il corpo è il corrispettivo biologico dell’automobile o dell’ascensore: un mezzo con cui spostarsi. Certo, un mezzo da conoscere estesamente, a cui fare una manutenzione a volte quasi eccessiva nella sua meticolosità, ma niente di più, niente di più vicino a un’osservazione davvero partecipata, vicina, attenta, e in definitiva realmente umana.
Il corpo, oggi, è un oggetto a cui ci si riferisce di volta in volta secondo modelli e linguaggi di tipo estetico (bello e brutto), erotico (attraente o non attraente), medico-sanitario (sano o ammalato), performativo (sportivo o sedentario), eccetera. Raramente, però, usciamo dai linguaggi che usiamo per descrivere il corpo, o descriverne quelle parti che in quel momento sono funzionale all’incasellamento analitico che stiamo portando avanti, o che la società sta portando avanti su di noi.
Quando ci fermiamo ad osservare il corpo così com’è?
La massima che dà il titolo a questo articolo è presente in diverse tradizioni sapienziali, sotto la forma di un apparente distacco dalla corporeità per cercare la libertà della mente e dello spirito.
In realtà, se guardiamo in profondità questo concetto, ci accorgiamo che è proprio il contrario: attraverso il riconoscimento, da parte della coscienza, del non essere solo un corpo, ci è data la possibilità di osservarlo senza renderlo necessariamente uno strumento funzionale all’obiettivo del momento. Ci è data la possibilità di vivere il corpo in modo indipendente e autonomo da ciò che pensiamo su di esso o da ciò che vogliamo fare di esso, ma quasi nessuno approfitta di questa straordinaria abilità e possibilità.
Quando starnutiamo, ci fermiamo ad osservare il processo con cui il corpo cerca di eliminare gli agenti patogeni, meravigliandoci delle strategie millenarie che ha elaborato, o pensiamo subito di essere ammalati?
Quando camminiamo, ci fermiamo ad osservare la complessa e affascinante serie di coordinamenti necessari a realizzare ogni singolo passo, godendo della precisione di lavoro del nostro sistema nervoso e del nostro sistema muscoloscheletrico, o usiamo tutto questo solo per raggiungere la meta che abbiamo fissato in quel momento?
Quando ascoltiamo qualcuno che parla, sappiamo riservare una parte della nostra attenzione all’incredibile atto della comunicazione, e agli effetti e reazioni che il discorso del nostro interlocutore causa su di noi, o siamo interamente proiettati verso la risposta che già stiamo costruendo nella mente, per portarci avanti senza nemmeno aver finito?
Per la maggior parte del tempo, sfruttiamo il corpo senza mai osservarlo davvero.
Di solito, cominciamo a mettere l’attenzione su questa delicata e sovrumana capacità solo quando qualcosa non va: se ad esempio ci ammaliamo, anche in modo lieve, improvvisamente il corpo acquista una centralità quasi ossessiva, che spinge molti di noi a cercare l’esatta definizione della propria condizione o patologia, senza mai fermarsi ad osservare cosa sta succedendo.
Il corpo ha una capacità comunicativa incredibile, e nulla di ciò che fa è mai casuale, al contrario di ciò che vorrebbero credere alcuni: ogni azione mediata dal sistema nervoso e incarnata nei tessuti del corpo ha un significato e una finalità di tipo comunicativo, e in definitiva espressivo e relazionale.
Purtroppo, questi messaggi che il corpo invia non possono essere colti, se siamo troppo occupati a gestirlo con altri linguaggi e altri obiettivi: dobbiamo dare spazio alla sensorialità, se vogliamo accedere a questo livello di dialogo.
È una cosa che vedo praticamente ogni volta che qualcuno si rivolge a me: tutti parlano del proprio corpo, ma quasi nessuno lo vive.
Lavorando in un contesto terapeutico, mi trovo spessissimo a dialogare prima di tutto sul senso (e non sul significato!) che il dolore, la difficoltà o la patologia assumono per la persona, e di solito scopro che è un terreno che nessuno ha ancora battuto.
È come se, chiedendoci costantemente il perché delle cose, perdessimo lungo la strada il come, e il come stiamo mentre accadono.
Una lezione inestimabile delle Medicine Tradizionali e dei sistemi di cura che si muovono da esse è proprio quella di rimettere al centro l’esperienza della persona prima ancora del dare un nome alla malattia, o di trovare il modo di guarirla. Dare una storia agli eventi non è un esercizio intellettuale, ma una profonda necessità che l’umano sembra dimenticare.
Non si può guarire davvero se prima non ci si ferma ad osservare il processo di malattia, perché è in esso che possiamo trovare la soluzione ai nostri problemi.
Non esiste pillola magica o soluzione miracolosa ai problemi fuori dai problemi stessi, anche se cerchiamo in tutti i modi, ogni volta, di aggrapparci a questa possibilità. Come dice un celebre aforisma zen: la via per uscire (dai problemi) è dentro (“the way out is in”).
Fermiamoci ad osservare il nostro corpo, e lui risponderà con l’unico linguaggio che conosce: quello dei sensi, e della verità.
Anche se quella verità sarà scomoda per la nostra mente, il nostro corpo saprà sempre cosa è meglio per noi, perché per nostra fortuna è un veicolo, ma molto più intelligente di qualsiasi macchina che noi potremo mai sperare di immaginare e costruire.
Fidiamoci del corpo, e lui saprà sempre indicarci la via giusta.
La legge dell’analogia
Di Nicoletta Giancola
L’articolo di oggi ci porta a mettere in pratica letteralmente il significato del nome assegnato a questa rubrica: risvegliare l’esploratore.
Chi è l’esploratore? È quella parte che, quando eravamo bambini, ha iniziato a chiedersi il “perché” delle cose. È ognuno di noi.
Perché è necessario che si risvegli? Perché nell’uomo è insita la ricerca, la voglia di scoprire e di capire, ma quella fiamma spesso si affievolisce a tal punto che smettiamo di porci domande e di ricercare, sia attraverso la conoscenza intellettuale che esperienziale.
“Tornare a vedere con gli occhi di un bambino” (cit.) è ricontattare quella purezza che permette di vedere le cose per come sono e accadono, e meravigliarsi di come possano farlo.
Mentre ero in viaggio verso una formazione, ieri mi è successo di incontrare una serie di rallentamenti in autostrada, che mi hanno permesso di notare con più precisione dove mi trovassi e cosa stessi facendo, allontanandomi dal semplice pensiero di percorrere una strada per arrivare a destinazione. Questo stato di maggiore quiete, a sua volta, ha fatto sì che osservassi i lavoratori in strada, ed in quel momento è sorta una domanda. Perché erano lì? Cosa stavano facendo? In realtà, era piuttosto ovvio, ma mentre mi incanalavo in un ulteriore restringimento di corsia, corrispondente ad un ulteriore rallentamento anche interno, è arrivata un’altra domanda: che analogia hanno gli operatori al lavoro in strada con il nostro corpo?
Lo so, può sembrare un po’ strana come domanda, ma tutti gli eventi e tutto il mondo possono essere l’analogia di qualcos’altro, e a me piace provare ad intuire cosa sia.
La legge dell’analogia, una delle leggi universali che regolano il cosmo, si trova riportata sulle Tavole Smeraldine, il compendio di sapienza attribuito ad Ermete Trismegisto, e in breve viene descritta con le parole:
“Come sopra – così sotto, come sotto – così sopra. Come dentro – così fuori, come fuori – così dentro. Come nel grande – così nel piccolo”.
In pratica, ciò che avviene dentro di noi influenza la realtà fuori di noi, e viceversa. Per capire il fuori dobbiamo vedere dentro, per capire il dentro dobbiamo vedere fuori.
E così, pensando che le grosse strade di collegamento vengono chiamate per analogia anche arterie, mi sono chiesta cosa potessero rappresentare i rallentamenti e i lavoratori.
Mi sono accorta che l’esempio più simile che sorgeva nella mia consapevolezza era quello del corpo, che rallenta il flusso sanguigno in una zona da riparare in modo da poter permeare il distretto e rilasciare gli elementi adatti alla riparazione tissutale, mentre altri elementi corpuscolari (per analogia, le automobili) continuano a scorrere all’interno dei fluidi nei vasi sanguigni (la strada), e laddove ci sia necessità di un intervento specializzato si fermano e si inseriscono nel processo di riparazione, come un mezzo di servizio.
Questo è solo un semplice esempio di analogia. Di tanti altri avete sentito parlare molto spesso: è il caso dell’analogia tra forma di un cibo e forma dell’organo corrispondente, e anche di quella tra la forma dell’albero – che lavora con la produzione/scambio di ossigeno e anidride carbonica – e la forma dei polmoni – che producono/scambiano esattamente al contrario.
Quello che vi suggeriamo è di provare a farvi domande e di ritornare a giocare al gioco dei perché come fanno i bambini.
I loro perché, spesso surrealisti ma sempre dotati di un proprio senso, ci colgono il più delle volte impreparati. Quante volte ci capita di rispondere senza nemmeno pensare alla domanda? O rispondere con una frase fatta? O ignorarli nel modo più assoluto (magari distogliendoli dalla domanda)?
Imparare a domandarci il perché delle cose ci aiuta a superare gli stereotipi e imparare a vedere il complesso dietro la banalità, ci porta a riflettere su di noi, sulla nostra vita e sulla natura dell’universo e per quanto possa apparire ai più una perdita di tempo, in realtà aiuta a riconnettersi alla parte più profonda di noi.
La metafora dell’Arpista sul cammino della salute.
di Luca Cascone
Sebbene l’arpa sia diffusa in tutto il mondo con diverse varianti, e detenga il primato di anzianità tra gli strumenti a corde, ha un’importanza insuperata in quell’area geografica denominata “celtica” (sintetizzando, tutto il nord-ovest Europeo, continentale ed insulare), specialmente in Irlanda, dove sopravvive ancora oggi una cultura fortemente radicata di questo strumento come identitario di un popolo e del suo patrimonio musicale e folklorico, tanto da farne l’emblema nazionale.
Non mi addentrerò qui nella complessa e affascinante storia di questo legame etnomusicologico e antropologico, ma prenderò in prestito due delle sue emanazioni per legarle al concetto di Salute.
L’arpa porta con sé un’interessante metafora, tramandata dall’antica scuola sapienziale dei Druidi e dei Bardi: ognuna delle sue parti strutturali ha una corrispondenza con il nostro sistema-corpo. La mensola, la parte superiore, a cui si fissano le corde e da cui si possono allentare e tendere, corrisponde alla mente, che può regolare o influenzare i processi del nostro sistema in modo da renderli più o meno intensi. La colonna, che regge e connette la mensola e la cassa, garantisce la trasmissione della tensione e della vibrazione, ed è equiparabile alla nostra dimensione emotiva. In altri esempi – che personalmente preferisco – è la tavola armonica, a cui si agganciano inferiormente le corde e che ne struttura il timbro di base, ad essere presa ad esempio per l’analogia con le emozioni. La cassa, infine, amplifica e modula il suono, sostenendo il resto dello strumento, esattamente come fa il corpo fisico con i nostri vissuti mentali ed emozionali.
Ognuna delle parti, va da sé, deve essere il più possibile solida e in stretta connessione con le altre perché lo strumento funzioni: è questo il primo principio della Salute come processo integrato non solo tra i diversi sistemi biologici, ma anche tra le diverse dimensioni del nostro vissuto, personale e sociale.
In Irlanda esiste un detto, passato oralmente di maestro in allievo, come vuole la tradizione, per generazioni che si perdono nella storia: “Un arpista passa metà della sua vita ad accordare, e l’altra metà della vita a suonare uno strumento scordato”.
Da arpista, vi posso garantire che è una legge universale: un refolo d’aria, una variazione d’umidità improvvisa, un pensiero passato di traverso tra voi e gli ascoltatori, e scordatevi (appunto) un’accordatura decente.
Al di là dei sorrisi (molti) del pubblico e (pochi) miei quando racconto questa storia, vi invito a riflettere sul fatto che la nostra salute funziona esattamente secondo lo stesso principio.
Siamo infatti costantemente immersi in un processo che vede oscillare il nostro sistema corpo-mente-emozioni tra due tensioni opposte: quella all’aggregazione e alla stabilità strutturale e quella al disordine, alla disgregazione e all’instabilità. In due parole, all’Ordine e al Caos, all’Accordatura e alla Scordatura.
Viviamo spesso l’impressione erronea che la prima corrisponda alla salute/benessere/integrità, e la seconda alla malattia/disagio/disabilità: entrambe non sono situazioni statiche, ma processi dinamici e complessi che si intercorrelano. L’oscillazione tra Ordine/Accordatura e Disordine/Scordatura è necessaria al bilanciamento costante delle informazioni che il sistema riceve ed emette, e alle sue capacità di far fronte agli stimoli. In gergo scientifico, questo processo si chiama equilibrio allostatico, ed è il fondamento della salute: avere sufficienti riferimenti, conoscenze e riserve di energia per adattarsi ai cambiamenti esterni ed interni, senza che, prevalendo sul proprio contrario, l’ordine diventi congelamento e staticità, e il disordine diventi disgregazione e distruzione.
Questo vale ad ogni livello, dall’organismo umano a quello sociale, planetario e cosmico (non è la gravità a mantenere in relazione due stelle, mentre la distanza impedisce loro di collassare l’una sull’altra?).
È a questo punto che dobbiamo far entrare in gioco i tre elementi che danno ragione dell’esistenza dell’arpa – e anche del corpo umano: le corde, il suono e il suonatore.
Partiamo dalle corde: sono la voce stessa dello strumento, che se ben costruito e mantenuto può sopportarne l’immensa forza tensiva (a seconda delle corde e del tipo di strumento, la cordiera di un’arpa sviluppa una tensione tra i 400 e i 500 kg!) e garantirne la purezza di suono. Perfetta combinazione delle tre componenti descritte prima, le corde sono il vero cuore dello strumento, così come il cuore dell’uomo si esprime puramente solo se corpo, mente ed emozioni sono in armonia tra loro.
Il suono corrisponde alla voce dell’essere umano, talmente caratteristica e fondamentale da essere un fattore identitario: alcuni studi definiscono la voce umana come “volto sonoro”. Non a caso, a meno di impedimenti, nella nostra cultura sono la Voce e la Parola a veicolare pienamente chi siamo, ed è il Logos/Verbo il principio determinante della realtà.
Infine, giungiamo all’Arpista, senza il quale le corde non produrrebbero suono, e nemmeno lo strumento potrebbe essere accordato e tenuto in buono stato: la nostra Anima, allo stesso modo, infonde vita, calore e direzione alla nostra macchina corporea, insieme a tutti i suoi Alleati e alle Forze che la sostengono.
Lo dimentichiamo molto spesso, ma la nostra personalità e i nostri corpi devono accordarsi per mettersi al servizio dell’Arpista, e solo così il canto che produrranno sarà davvero puro e degno di essere cantato ed ascoltato.
Il nostro compito è continuare ad accordarci per essere strumenti in mani più capaci delle nostre. Solo così potremo aspirare alla vera e profonda Salute globale.
Holistic Experience 2022
Continua la collaborazione con Fondazione Oasi con un evento che si estenderà per tutta l’estate del 2022: ogni mercoledì alle 19 apriremo i cancelli a chiunque vorrà raggiungerci per un’esperienza all’insegna del benessere, della comunità e della bellezza.
Sette laboratori continuativi e workshop esperienziali apriranno la serata tra yoga, pratiche sonore, consapevolezza corporea e meditazione.
La serata continuerà alle 21 con un aperitivo sulla terrazza panoramica, accompagnato da concerti, conferenze e cinema.
Il nostro impegno, insieme a Fondazione Oasi, è quello di fornire a tutti un servizio di qualità, con professionisti selezionati e capaci, in grado di guidarvi in esperienze di grande impatto sulla salute personale, sociale e ambientale: Holistic Experience è un evento unico nel suo genere nel nostro territorio e in tutta Italia.
Dalle 19.30 di ogni mercoledì sera fino al 21 settembre, saremo presenti con due laboratori esperienziali.
Qui sotto e sulle pagine di Fondazione trovate tutte le informazioni essenziali.
Vi aspettiamo per i laboratori e per passare una piacevole serata insieme, ammirando il tramonto dal magnifico panorama del Parco.
A Corpo Libero con Nicoletta (6 luglio – 21 settembre)
A partire dall’esplorazione sensoriale di un’area corporea, i partecipanti vengono condotti alla sua integrazione nel sistema dinamico dell’intero corpo, e nelle relazioni che esso intreccia con gli altri e l’ambiente. L’attività, accompagnata dalla musica, permette un’immersione profonda e sicura, per promuovere libertà di movimento e di espressione.
A chi si rivolge: a tutti, non è necessario essere allenati poichè l’attenzione sarà alle possibilità ed alle qualità di movimento e percezione disponibili nell’adesso, per giungere ad una nuova consapevolezza e sensibilità dei corpi che abitiamo.
Occorrente: abbigliamento comodo, acqua, tappetino o telo
InCanto con Luca (13 luglio – 21 settembre)
Laboratorio di sperimentazione vocale e benessere sonoro.
13 luglio – “Suoni Primi”: iniziamo il percorso esplorando la nostra voce come farebbe un bambino, nel gioco e nella semplicità dell’esperienza, a contatto con l’ambiente naturale, con il corpo e con il Cerchio.
A chi si rivolge: a tutti coloro che sono interessati a scoprire il potere e le capacità della propria voce. Non è necessaria una pregressa esperienza vocale, solo voglia di sperimentarsi.
Occorrente: abbigliamento comodo, acqua, tappetino o telo, cuscino se preferito.