Questa settimana, parlando del Colon (o intestino crasso), la prima dicotomia da tenere in considerazione è sicuramente quella tra i trattenere e il lasciar andare. Questo ci parla della capacità fisiologica dell’ultimo tratto di intestino di trattenere la materia più vitale (l’acqua) e di eliminare ciò che non serve più.
Vi abbiamo parlato della fisiologia, ma oggi passiamo ai significati psicosomatici ed energetici di questo tratto del sistema digerente, che ci dà appunto la possibilità di vedere chiaramente ciò che ci dà forza e ciò che diventa tossico, e quindi deve essere eliminato.
In Medicina Cinese, ad esempio, il Colon assume la funzione di un netturbino, ovvero di colui che si incarica di ripulire ed eliminare il campo corporeo dalle scorie e dai rifiuti. È anche però l’ultima sentinella che può decidere se tenere qualcosa, e ha il compito di riconoscerlo.
Associato in questo sistema all’elemento del Metallo, è energeticamente “gemello” del Polmone, con cui condivide i processi di discernimento (dei gas nel caso del secondo, dei liquidi nel caso del primo), e il suo ruolo è separare il chiaro dal torbido.
Ritorna qui l’importanza del cervello enterico, che, proprio come quello neurologico, è capace di esercitare discernimento e discriminazione, scelta e direzionalità. Siamo solo meno abituati a concepirlo come un’interfaccia altrettanto importante per conoscere e significare il mondo.
L’addome, per eccellenza, è il luogo dell’inconscio, ovvero l’area del nostro corpo dove la coscienza non vuole o fatica ad arrivare, ed è particolarmente collegato al vissuto emotivo. In ottica psicosomatica, il Colon è infatti il luogo di somatizzazione dell’ansia e del trattenimento, ovvero della capacità/incapacità di lasciar andare e lasciarsi andare.
È attraverso le manifestazioni e il funzionamento di questo viscere che il corpo elabora la libertà psicoemotiva, oppure resta nelle dinamiche di attaccamento che condizionano la nostra esperienza. La reazione può essere al polo dell’esasperazione del controllo stesso, portandosi verso la stipsi e la dolorabilità cronica, oppure verso il rilascio incontrollato, come nel caso della diarrea e di alcune forme di sindrome del colon irritabile: per incapacità di gestire la discriminazione tra ciò che deve rimanere e ciò che deve essere espulso, il corpo reagisce eliminando tutto ciò che sta transitando dal colon. Nonostante possa sembrare molto strano, provate a pensare al classico “mal di pancia” prima di un’occasione importante (un esame, una performance, una riunione, …): possiamo andare incontro a dolori e crampi fino allo “spegnimento” dell’intestino (stipsi) oppure alla sua ipersollecitazione (diarrea).
Le manifestazioni fisiche che possono accompagnarsi alla paura e all’insicurezza in queste situazioni ci parlano della nostra (in)capacità di restare lucidi e fluidi all’interno di una situazione di stress, abbandonando il senso del controllo, per riconoscere le nostre emozioni limitanti (il torbido) e tentare di superarle, o prendercene cura il più serenamente possibile.
Recuperando l’acqua (il chiaro), il Colon ci insegna a riconoscere le qualità vitali che possiamo mantenere anche nelle situazioni di maggiore stress, che ci permettono di superare gli ostacoli in modo creativo e sano, attraverso l’implementazione di strategie fisiche, emotive e mentali non violente verso noi stessi o gli altri, ma comunque volte in modo deciso alla risoluzione e al benessere del nostro sistema e di chi ci sta intorno.
Viviamo in un contesto culturale in cui la capacità di lasciar(si) andare non è vista di buon occhio: sottrarsi alle dinamiche di massima resa a tutti i costi è una vera e propria sfida a cui siamo messi di fronte, per poter riconoscere i nostri bisogni fondamentali ed eliminare ciò che non ci nutre (o ciò che non ci nutre più).
Potremo così avere accesso ad una grande forma di libertà, quella di decidere cosa è meglio per noi, e lasciar scorrere via ciò che non è più necessario.
La lezione del Colon è chiara, resta a noi impararla!
Alla prossima settimana,
Luca e Nicoletta
Tag: benessere
Respira, sei vivo!
Da quando abbiamo iniziato a scrivere sui social e qui sul blog, ci avete sentito spesso parlare dell’importanza della respirazione, di come essa sia la base della vita e di come sia utile per tornare a sentirci pienamente qui e ora anche durante le attività della vita quotidiana e le pratiche di benessere (alla fine di questo articolo vi mettiamo il collegamento a due vecchi articoli).
Oggi vogliamo parlarvi delle relazioni che il respiro ha con il resto del corpo e di come il semplice osservarlo serva a ristabilire la giusta calma per proseguire quando, ad esempio, veniamo assaliti dall’ansia.
Partiamo da qui, da una pratica: provate a mettervi comodi nella posizione in cui siete, sia che siate seduti o in piedi, cercando di stare eretti con la schiena; ora chiudete gli occhi e portate attenzione all’aria fresca che entra dalla punta del naso e all’aria calda che esce.
Prendetevi il tempo di fare qualche atto di seguito, poi riprendete la lettura.
A cosa avete pensato durante l’esercizio? Dov’era la vostra mente, e dove eravate voi? Quasi certamente eravate in buona parte lì, facendo l’esercizio e nient’altro. Questo è quello che accade ogni volta che portate attenzione a voi attraverso il respiro. Interessante, vero?
In definitiva, è molto semplice ritornare a se stessi e allontanare lo stato di oppressione che spesso ci assale. C’è solo un ostacolo: ricordarsi di farlo. In questo non possiamo aiutarvi molto, ma possiamo stimolarvi a farlo raccontandovi quante cose trovano giovamento da una buona respirazione.
Partiamo innanzitutto con qualche considerazione sulla forma e le funzioni del diaframma. Esso ha una struttura prettamente orizzontale, e non è il solo nel corpo ad avere questo orientamento: insieme ad altre strutture (tentorio del cervelletto, pavimento buccale, orifizio toracico superiore, e pavimento pelvico sono le principali), è parte del sistema dei diaframmi, che contribuisce al bilanciamento delle pressioni corporee. Soprattutto, regola le pressioni in cavità toracica e addominale. Va da sé che ogni volta che viviamo un disagio che riguarda la pressione, dal mal di testa alle difficoltà di andare in bagno, la respirazione è in qualche modo coinvolta, e ci può venire in aiuto nella modulazione se non addirittura nella risoluzione dei sintomi.
Il diaframma, separando due cavità (toracica e addominale), è dotato di orifizi e passaggi per molte strutture: i vasi sanguigni, che dal cuore partono e al cuore devono tornare, tra cui aorta e vena cava, forse i due vasi più importanti in tutto il corpo; i nervi, tra cui spicca il nervo vago, X paio di Nervi Cranici, che origina a livello del midollo allungato, all’interno del cranio, e prima di passare il diaframma si fonde tra vago di destra e di sinistra per proseguire nell’addome; infine, non dimentichiamo l’esofago, che parte da dietro la bocca e raggiunge lo stomaco al di sotto del diaframma.
Nella sua parte superiore, il diaframma offre appoggio al cuore e al suo sacco di contenimento (il pericardio), e ancoraggio e sostegno al polmone e al suo involucro (la pleura). Al di sotto, oltre allo stomaco, anche fegato, milza, duodeno, pancreas e reni sono saldamente connessi a questo muscolo tramite tessuto connettivale (legamento coronario del fegato, legamento frenocolico, legamento di Treitz, capsula pancreatica, piccolo omento e fascia renale).
Dedicare tempo alla respirazione diaframmatica significa migliorare anche la mobilità di questi elementi, e di conseguenza le loro funzioni: il passaggio di cibo, l’innervazione degli organi, l’ossigenazione dei tessuti, la corretta successione delle fasi digestive, la circolazione, e così via.
C’è anche un altro interessante punto di vista da cui guardare al respiro: quello della relazione con il vissuto emozionale. Quando parliamo di modulazione delle emozioni attraverso il respiro non ci riferiamo solamente alla percezione “sottile” di una sensazione interna che diventa più fluida o meno intensa, ma alla vera e propria azione meccanica che il diaframma ha sugli organi, provocando una sorta di massaggio che armonizza e regolarizza l’attività dell’addome, sede principale della sensazione e percezione delle emozioni, almeno nella loro forma più grezza. Vedremo più avanti, parlando dei singoli organi, che diverse tradizioni attribuiscono ad ognuno di essi emozioni specifiche (spesso con corrispondenze esatte).
Possiamo parlare di azione meccanica perché gli organi prendono proprio contatto con il diaframma, e di conseguenza al movimento di uno corrisponde il movimento dell’altro. Tutti loro e le loro funzioni sono correlate alla respirazione.
Possiamo estendere ancora di più il tema: seppure la respirazione sia l’ultima funzione che il feto arriva ad espletare (cominciamo a respirare dopo il parto, ricordate?), è tra le due necessarie al sostentamento di base della vita (l’altra è quella cardiaca).
Deputata primariamente allo scambio gassoso tra ossigeno e anidride carbonica, la respirazione ha l’essenziale funzione di fornire al circolo sanguigno la materia chimica di base con cui le cellule espleteranno le loro funzioni metaboliche, e di eliminare i prodotti di scarto delle stesse.
Ne consegue che tutti i tessuti beneficiano di una buona pratica di repirazione, che miri ad elasticizzare e a rendere fluido e armonioso tutto il corpo. Si parla, in molti casi, di esercizi molto semplici con effetti diretti e sorprendenti su disturbi clinici di varia natura, da quelli ormonali, a quelli muscolo-articolari, perfino a quelli psichici.
Questo avviene per via delle connessioni profondissime del respiro (soprattutto del respiro consapevole) sul cervello: le dirette connessioni tra le vie aeree, attraverso l’osso etmoide, con il pavimento della fossa anteriore del cranio, con il sistema limbico, il midollo allungato e il cervelletto, fanno sì che il respiro, così come ne è influenzato, possa intervenire sulla regolazione degli stati eccitatori o depressivi tipici degli squilibri emozionali su base chimico-ormonale o comportamentale, riportando il sistema nervoso autonomo (e per conseguenza anche quello volontario) ad uno stato di calma e disponibilità.
In sintesi, questa è la base dell’uso del respiro in tutte le pratiche di consapevolezza sparse nel mondo: se il battito del cuore attiva e sostiene, il respiro è il vento che soffia sulle acque, le calma o le smuove a seconda della necessità. Tramite l’inserimento della coscienza nel processo, portiamo tutta la nostra attenzione all’attività più basilare, naturale e vitale che possiamo conoscere. Come recita un famoso motto del Maestro Zen Thich Nhat Hanh: “Respira, sei vivo!” (è anche il titolo di uno dei suoi libri più belli, che vi consigliamo).
Allora, cosa ne dite? Se non siete abituati a questa pratica, vi va di provare?
Un buon inizio, per tutti quelli che non potranno provare esercizi più complessi, ma soprattutto per chi ha poco tempo, è quello, durante la prossima volta in cui vi troverete in un momento di attesa, di sfruttare il tempo della pausa per qualche respiro consapevole, portando semplicemente attenzione alle azioni che il vostro corpo già sta compiendo in autonomia.
Questo semplice gesto (potete ripetervi mentalmente la frase: “inspirando, so che sto inspirando, espirando, so che sto espirando”) porterà immediata calma e molta più disponibilità energetica.
Se invece preferite sfruttare le pause per un’altra lettura sull’argomento, qui sotto vi lasciamo altri articoli in cui abbiamo parlato dell’importanza del respiro.
Vi ricordiamo che molte delle nostre attività si basano sul respiro e ne sfruttano il grande potere per suggerire nuove vie verso la Salute: se volete fare pratica con noi, non vi resta che contattarci.
Buona respirazione a tutti!
Luca e Nicoletta
La Medicina del Silenzio
di Luca Cascone
” Ti chiederanno: ‘Cos’è il silenzio?’. Tu rispondi: ‘È la pietra di fondazione del Tempio della Saggezza’. ”
Pitagora
Vi siete mai accorti di quanto il nostro tempo tema il silenzio?
Viviamo in un contesto storico, sociale e culturale mai visto prima nella storia dell’Uomo: abbiamo sempre a disposizione una fonte di copertura sonora per le nostre vite, che mima e incarna sempre più efficientemente il chiacchiericcio continuo della mente.
Girando per strada, vi sarete sicuramente accorti della massiccia e sempre più frequente presenza di cuffie più o meno voluminose che trasmettono musica in continuazione; entrando nei negozi, è d’uso comune ritrovarsi in un ambiente in cui aleggia (più o meno intensamente) musica di varia natura, di solito non scelta ad hoc; negli uffici, in molti accompagnano il proprio lavoro con la radio, o più recentemente con le playlist musicali trovate online; in macchina, sui mezzi, nei luoghi pubblici in certe occasioni (come in questo periodo natalizio) ci ritroviamo immersi in un paesaggio sonoro continuamente saturato.
Non è solo questione di musica, in effetti: la stessa saturazione sonora è data dal rumore di fondo di moltissimi contesti più o meno urbanizzati: nelle città o nei centri di media grandezza, è rarissimo trovarsi in una condizione di silenzio, o per così dire il silenzio è determinato dalla minor soglia di rumore possibile, che è comunque molto alta rispetto alla normalità a cui siamo stati abituati nella storia.
Anche se l’Uomo incrementa il suo livello di rumore a livello naturale, e la Natura stessa ha i suoi picchi di rumorosità (si pensi a certi suoni di animali, o anche all’immane potenza sonora di certi eventi naturali, come il fulmine), l’attuale continuità del rumore causato dall’Uomo e dalla società industrializzata sta diventando un problema importante, disturbando il comportamento di molte specie animali – un caso molto famoso è quello dei grandi cetacei, spesso disorientati dall’inquinamento acustico ed elettromagnetico – ma anche la salute stessa degli esseri umani: si ritiene che lo stress acustico sia una concausa molto frequente di diversi disturbi, dalla stanchezza cronica, alla difficoltà di concentrazione, a turbe neurovegetative più serie – come i disturbi del sonno -, fino a patologie anche molto gravi, come certe presentazioni del diabete o malattie cardiovascolari anche letali.
Il rumore della nostra mente mai sazia di informazioni e di stimoli, che fino a pochi decenni fa era solo un flusso di pensieri non sempre materializzato, è diventato a tutti gli effetti completamente fisico, e avvolge e permea ogni momento della nostra vita: dalla musica di cui sopra, alla televisione “accesa per farci compagnia“, ai rumori del traffico, a quelli dei trasporti.
Un’esperienza molto comune durante il lockdown dell’inizio del 2020 è stata proprio quella di riscoprire il silenzio (o almeno qualcosa di molto vicino ad esso): per darvi una stima, considerate che secondo alcuni studi il rumore di fondo nelle città industrializzate si ridusse anche del 50%, incidendo positivamente anche su diversi disturbi clinici legati all’inquinamento acustico.
Come esseri umani (e soprattutto animali) abbiamo un vitale bisogno di silenzio.
Non è per questo che abbiamo cominciato a pregare, o a meditare, o a ricavare spazi nelle comunità crescenti e sempre più complesse per prendere una pausa e ascoltare profondamente dentro e intorno a noi?
Il periodo natalizio ne è una prova tangibile (e spesso non in positivo): almeno nell’emisfero boreale, stagionalmente parlando, questo è un periodo di riposo e di introspezione per tutta la Natura. Gli animali si acquietano, molti vanno perfino in letargo; le piante rallentano il loro metabolismo; la Terra stessa, secondo le antiche tradizioni, dorme in attesa di risvegliarsi.
Il periodo natalizio nasce proprio per celebrare questo momento, nel clima successivo alla ricchezza autunnale e al progressivo addormentamento, celebrando con gioia la promessa del Solstizio d’Inverno: la nascita di un nuovo calore, e di nuova energia vitale, che però rimane ancora lontana, mentre il buio è al massimo della sua estensione.
È (o dovrebbe essere) un periodo di raccoglimento, di intimità e di silenziosa osservazione.
Cosa ci spinge a trasformare tutto questo in un caos rumoroso e cacofonico?
Forse temiamo il Silenzio.
Nel silenzio è difficile ammantarsi di un chiacchiericcio rassicurante, ed è molto complesso continuare a cercare stimoli esterni. È anche molto difficile ascoltare il proprio corpo, nel silenzio: è molto meglio muoversi sull’onda di uno stimolo esterno, soprattutto se acustico. Avete mai provato la sgradevole sensazione (per la mente, ovviamente) di danzare senza una musica ad accompagnarvi?
Il silenzio ci costringe ad avere a che fare con noi stessi, così come siamo, senza alcun intermediario.
Certo, ovviamente aveva ragione il Maestro Pitagora: senza questa premessa, nessuna Saggezza può essere davvero raggiunta. Ma, forse, non aveva considerato che il coraggio di stare è qualcosa che molti di noi fanno fatica ad alimentare, e che anche i più saggi a volte perdono.
Senza pretese di diventare grandi Saggi, proviamo a concedere a noi stessi alcuni momenti di silenzio al giorno: al risveglio, prima di dormire, in un momento di tranquillità o prima di parlare, prendiamo brevi attimi di pausa dal continuo e indiscriminato fare, e proviamo a goderne.
Si dice che a Natale si sia tutti più buoni: proviamo a essere più silenziosi, e scopriamo se questo ci conduce a uno stato di maggiore disponibilità, benessere e apertura.
La Medicina del Silenzio è antica quanto la prima Alba e la prima Neve: diamole lo spazio che si merita, e lei ci porterà Doni inaspettati.
Abitare i Confini
di Luca Cascone
In questa settimana, particolarmente intensa per me e per molti altri, ho considerato a lungo il concetto di confine: in molte consulenze e in diversi eventi della vita privata, ho incontrato l’esigenza di riflettere profondamente sulla sua importanza.
Ho già scritto, l’anno scorso, un articolo su questa materia, soffermandomi soprattutto sugli aspetti relazionali dei confini, e degli spazi prossemici in cui viviamo quotidianamente. Questa volta, avevo necessità di concentrarmi sugli aspetti dei confini che riguardano l’autodisciplina e il nostro stesso modo di percepirci.
Come faccio spesso, ho cercato un aforisma che mi ispirasse, e ho letto queste parole:
“I sani confini non sono muri. Sono cancelli e staccionate che ti permettono di godere della bellezza del tuo giardino“.
[Lydia Hall]
Mi ha colpito un’intuizione che aleggiava da alcuni giorni, complici alcune esperienze che mi hanno aperto uno spazio di riflessione: ci sentiamo spesso in balia degli eventi, senza una reale capacità di mutare il corso delle nostre vite, invasi e compressi dal resto del mondo con le sue richieste, aspettative e pretese, ma la verità è che il più delle volte rinunciamo a prenderci la responsabilità di decidere in piena consapevolezza quali sono i confini che nutrono e difendono la nostra integrità e il nostro benessere.
Immaginiamo la nostra vita come un insieme di bolle una dentro l’altra: dalla più vicina, che contiene noi e le nostre relazioni più intime, alla più lontana, che contiene il mondo che appena ci sfiora, tutto ciò che ci attraversa lo fa perché si inserisce nel nostro sistema percettivo, con gradi e intensità diverse a seconda dell’intimità che concediamo.
Anche quando non li percepiamo, i confini definiscono la nostra disponibilità e i rapporti che viviamo: non tutti possono toccarci fisicamente allo stesso modo, per esempio accarezzandoci, e nemmeno baciarci; è un privilegio di pochi. Allo stesso modo, alcune persone possono parlarci confidenzialmente e in modo diretto, e con altri intratteniamo rapporti più formali. Alcune parole o espressioni ci toccano di più, mentre altre non sono per noi motivo di riflessione o di disagio. Alcuni fenomeni naturali ci fanno più paura (ovvero irrigidiscono i nostri confini), mentre altri sono fonte di piacere (li ammorbidiscono e ci rendono disponibili).
Il confine emerge di concerto tra ciò che noi siamo disposti a concedere, e l’obiettivo che l’interlocutore è intenzionato a raggiungere.
Spesso siamo portati a credere che essere disponibili significhi non stabilire confini, ma non ci potrebbe essere idea più fuorviante: è proprio senza stabilire confini che ci esponiamo a subire tutto ciò che ci accade come incontrollabile, traumatico e distruttivo.
Esattamente come un bambino necessita di confini e di disciplina, oltre che della soddisfazione degli altri bisogni primari, per crescere e diventare un adulto responsabile, allo stesso modo la nostra vita ha bisogno di confini, per essere vissuta davvero e in profondità.
Un esempio che faccio spesso: se il mio interlocutore estrae un coltello intenzionato a farmi del male, io ho tutto il diritto di difendermi. Il come sarà una questione di capacità e di scelte: i grandi Maestri hanno fermato la violenza con la loro sola presenza (vi invito a cercare gli episodi del Buddha con il criminale Angulimala che divenne Ahimsaka, o di Gesù con i soldati che attaccarono gli apostoli nell’orto del Getsemani), altri, meno carismatici, usano la loro forza per disarmare l’avversario senza danneggiarlo, e altri ancora, molto meno carismatici, impugnano a loro volta le armi e ingaggiano la lotta.
Qual è il mio confine?
Se sta nel non alimentare la violenza, sceglierò la seconda soluzione. Se sta nella difesa personale, potrò lottare e rischiare di danneggiare me o il mio opponente.
Un altro esempio: se mi mettono a disagio, non è necessario che io accetti certi tipi di contatto fisico. Non mi riferisco solo a contatti particolarmente abusivi, ma anche a certi confini sociali che non sono assolutamente scontati: personalmente, sono una persona che abbraccia molto facilmente, ma se ho uno sconosciuto di fronte, sto molto attento a chiedere il permesso (non solo verbalmente). Non è affatto scontato che l’altra persona sia disposta ad accettare un contatto così stretto, anche se per me è assolutamente naturale.
Qual è il confine che devo rispettare?
Non sarebbe saggio imporre il mio modo a chi non lo gradisce, poiché da gesto gentile diventerebbe una violenza. In una situazione del genere, posso portare la stessa qualità nelle mie parole?
Immaginate ora che il vostro spazio sia quello della citazione che mi ha ispirato: un meraviglioso giardino, da curare con grande attenzione. Se non aveste un confine, quanto passerebbe prima che animali affamati, persone di passaggio ed elementi naturali incontrollati devastino il giardino, rendendolo un ammasso confuso di terra sterile e incurata?
Al contrario, come potrebbe crescere rigoglioso se lo chiudeste completamente all’esterno, escludendo gli uccelli e il vento che portano semi, le api che fanno circolare i pollini, il calore del sole che dà vita ai semi, o la pioggia che dona forza alla linfa?
È quello che succede molto spesso alle nostre vite: a volte mettiamo confini troppo netti, che inaridiscono le nostre relazioni e i nostri rapporti, e rendono difficile lo scambio; a volte, al contrario, non mettiamo confini, e permettiamo a chiunque di entrare nel nostro spazio intimo e di depredarlo, lasciandoci spogli e sfibrati, e vaghiamo alla ricerca di altri spazi che trattiamo allo stesso modo.
Stabilire sani confini è necessario alla vita: significa curare il giardino con amore e dedizione, scegliendo a quale distanza e con quale forza tenere fuori le influenze negative, e permettendo a chi lo nutre di entrare nello spazio, attraverso i cancelli che noi stessi decidiamo di aprire e chiudere.
Questo vale in ogni ambito della nostra vita, da quello fisico, a quello relazionale, a quello professionale: solo costruendo i giusti spazi e curandoli con attenzione possiamo vivere davvero pienamente, nel massimo rispetto della nostra natura e di quella altrui.
Abitare i confini significa stare nello spazio del confine stesso, scegliendo di volta in volta quale sia la sua posizione migliore, chi o cosa può entrare, e chi o cosa no: è un esercizio continuo di consapevolezza e di dialogo tra noi e il mondo, nella mutua ricerca del migliore stato di Equilibrio e di Benessere.
Holistic Experience 2022
Continua la collaborazione con Fondazione Oasi con un evento che si estenderà per tutta l’estate del 2022: ogni mercoledì alle 19 apriremo i cancelli a chiunque vorrà raggiungerci per un’esperienza all’insegna del benessere, della comunità e della bellezza.
Sette laboratori continuativi e workshop esperienziali apriranno la serata tra yoga, pratiche sonore, consapevolezza corporea e meditazione.
La serata continuerà alle 21 con un aperitivo sulla terrazza panoramica, accompagnato da concerti, conferenze e cinema.
Il nostro impegno, insieme a Fondazione Oasi, è quello di fornire a tutti un servizio di qualità, con professionisti selezionati e capaci, in grado di guidarvi in esperienze di grande impatto sulla salute personale, sociale e ambientale: Holistic Experience è un evento unico nel suo genere nel nostro territorio e in tutta Italia.
Dalle 19.30 di ogni mercoledì sera fino al 21 settembre, saremo presenti con due laboratori esperienziali.
Qui sotto e sulle pagine di Fondazione trovate tutte le informazioni essenziali.
Vi aspettiamo per i laboratori e per passare una piacevole serata insieme, ammirando il tramonto dal magnifico panorama del Parco.
A Corpo Libero con Nicoletta (6 luglio – 21 settembre)
A partire dall’esplorazione sensoriale di un’area corporea, i partecipanti vengono condotti alla sua integrazione nel sistema dinamico dell’intero corpo, e nelle relazioni che esso intreccia con gli altri e l’ambiente. L’attività, accompagnata dalla musica, permette un’immersione profonda e sicura, per promuovere libertà di movimento e di espressione.
A chi si rivolge: a tutti, non è necessario essere allenati poichè l’attenzione sarà alle possibilità ed alle qualità di movimento e percezione disponibili nell’adesso, per giungere ad una nuova consapevolezza e sensibilità dei corpi che abitiamo.
Occorrente: abbigliamento comodo, acqua, tappetino o telo
InCanto con Luca (13 luglio – 21 settembre)
Laboratorio di sperimentazione vocale e benessere sonoro.
13 luglio – “Suoni Primi”: iniziamo il percorso esplorando la nostra voce come farebbe un bambino, nel gioco e nella semplicità dell’esperienza, a contatto con l’ambiente naturale, con il corpo e con il Cerchio.
A chi si rivolge: a tutti coloro che sono interessati a scoprire il potere e le capacità della propria voce. Non è necessaria una pregressa esperienza vocale, solo voglia di sperimentarsi.
Occorrente: abbigliamento comodo, acqua, tappetino o telo, cuscino se preferito.
Radicarsi per essere Liberi
“Metti radici nella terra, così potrai ergerti alto nel cielo: metti radici nel mondo visibile così da raggiungere l’invisibile”
Osho
Il termine “radicamento” è molto spesso usato in italiano per tradurre il più ampio termine anglosassone “grounding”, rendendone il significato legato alla capacità di aderire e di aggrapparsi al suolo, sia fisicamente che simbolicamente. Questa capacità, che negli alberi è appunto collegata alle radici, negli animali e di conseguenza nell’essere umano si esprime in una diversa relazione con il piano d’appoggio: mentre l’albero penetra nel suolo e vi si ancora, il nostro corpo aderisce e al tempo stesso reagisce ad esso, principalmente attraverso i piedi. Per questo, alcuni traducono il termine “grounding” con “atterramento”; sebbene sia forse meno elegante, può darci una diversa visione e un diverso risvolto pratico.
Attraverso il grounding, mettendoci in comunicazione con il nostro centro di gravità (che è situato tra il pube e l’ombelico, all’interno dell’addome), attiviamo una percezione di stabilità ed equilibrio per un’infinita possibilità dinamica, sentendoci sostenuti e non vincolati al terreno. Ogni volta che scegliamo di eseguire un movimento, che sia veloce ed automatico o studiato e cosciente, dobbiamo essere radicati: un movimento efficace parte dal centro, dal nostro interno per raggiungere la periferia e l’esterno.
I modi per sperimentare questa capacità sono moltissimi. In definitiva, tutti quelli che ci permettono di sentire il nostro centro.
Tra questi, è molto utile esercitarsi a sentire il peso.
Posizionandoci in piedi, giocando con l’appoggio dei nostri piedi, possiamo percepire la forza di gravità che ci attira al suolo attraversando tutto il corpo, ogni parte del quale reagisce in un gioco di equilibrio dinamico. Anche da seduti, o da sdraiati, possiamo porre l’attenzione su come e quanto riusciamo a lasciare il nostro peso verso terra, e percepire il sostegno uguale e contrario che essa ci restituisce. Anche se non è necessario muoversi per allenarsi in questa pratica, sperimentare diverse sensazioni di tensione e di peso aiuta moltissimo a percepire il gioco gravitario.

Anche la consapevolezza del respiro è un utile strumento di radicamento.
Connettendoci al respiro, lasciamo che l’inspirazione e l’espirazione raggiungano uno stato di equilibrio senza lasciare pause: arrivati a un buon equilibrio, possiamo scendere in profondità con l’attenzione, seguendo la via verticale che ci percorre dalla testa ai piedi, l’asse cielo-terra che ricorda il tronco dell’albero, fino a toccare nell’addome un punto di equilibrio tra la parte superiore e quella inferiore del corpo. Da qui, possiamo esplorare la dinamica del respiro che si sviluppa nella dimensione orizzontale, contattando la sensazione di espansione e di retrazione antero-posteriore e laterale, all’intersezione tra il piano frontale e quello trasversale.
In terza e ultima battuta, possiamo rendere ancora più viva la sensazione del radicamento e del centro quando il respiro si fa vibrazione e suono: la vocalizzazione, naturale conseguenza della respirazione, è da sempre strumento di esplorazione e di centratura dentro di sé. Molto utile a questo scopo è la vocalizzazione della lettera “M”, detta “humming”, che garantisce la massima percezione interna del suono: le labbra sono infatti chiuse, e l’aria che esce dal naso disperde la minima quantità di vibrazione, massaggiando dall’interno tutto il nostro corpo, dalle cavità fino alle ossa, e distendendo anche le tensioni più profonde.
Pochi minuti al giorno di queste pratiche, eseguite in successione o singolarmente, secondo il bisogno, garantiscono non solo un grande senso di presenza corporea, ma anche un profondo senso di benessere e di vitalità. Il corpo ne risulterà rinvigorito e alleggerito al tempo stesso, e con lui si appianeranno gli stati emotivi più turbolenti. Anche la mente, concentrandosi sul processo dell’esercizio e sui suoi effetti, smetterà di inseguire febbrilmente i pensieri, accorgendosi di poter fare una pausa ristoratrice.
Radicati al nostro centro, fisico, emotivo e mentale, possiamo procedere liberamente nel mondo, godendoci il cammino, sapendo di essere sempre a casa dentro noi stessi.
“Ben-essere al Castello” Piovera 2020
Siamo molto felici di essere stati invitati come espositori e conferenzieri al festival “Ben-essere al Castello”, che domenica 13 settembre riunirà diverse realtà e iniziative all’insegna del benessere, della consapevolezza e del vivere naturale al servizio dei visitatori.
L’evento, che si tiene nella stupenda cornice del Castello di Piovera, in provincia di Alessandria, è alla sua quinta edizione, ed è sempre più in crescita in quanto a iniziative e servizi che offre al suo interno.
Sarà la narrazione come forma di cura e sostegno per il singolo e la comunità ad avere ampio spazio nella conferenza dal titolo “Corpo, Suono, Parola: l’arte della Narrazione che cura” che terremo in mattinata nell’Area Prato, e nel laboratorio per bambini che si svolgerà nel pomeriggio nell’Area Fossato.
Per chi non potesse partecipare a queste due attività, per tutto il corso della giornata saremo presenti con il nostro stand in cui sarà possibile conoscerci ed usufruire di consulenze individuali basate sui nostri servizi (comprese le storie per i bambini che non parteciperanno al laboratorio!).

Se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia.
Anonimo
Passate a trovarci, vi aspettiamo nel nostro stand a braccia aperte!